È una giornata di sole, entriamo a Pompei dall'ingresso di Porta Marina. Superiamo la rampa che si inerpica lungo la collina, nel vociare eccitato dei turisti che si aggregano sotto le mura per ascoltare le prime spiegazioni delle guide. Superiamo anche la galleria che immette nel vivo della città, invidiando un po' chi non ha mai messo piede qui, e in questa penombra può permettersi qualche istante di sospensione in un limbo fuori dal tempo, prima di vedersi spalancare di fronte il sogno universale che chiunque al mondo accosta indissolubilmente alla parola archeologia.
Chi invece conosce già questi luoghi percepisce immediatamente una diversità.
Ovunque si cammini, sbarramenti e divisori delimitano spazi accessibili, in un clima di lavoro che ferve. La Via dell'Abbondanza, arteria dell'antico centro, è una prospettiva di transenne, squadre di operai si incrociano ad ogni angolo, intere vie sono interdette. Proseguiamo la nostra camminata lungo la città, per capire cosa stia accadendo.
Molti dei visitatori, oggi, sanno del Grande Progetto Pompei e dei suoi numeri, magari per averne letto un trafiletto su un giornale, ma è solo nell'incedere lungo gli incerti percorsi dei basolati che se ne afferra la portata reale. L'entità dei cantieri aperti, dei professionisti e delle ditte coinvolte, l'efficienza dei provvedimenti, rischiano di essere una serie astratta di numeri che non comunica l'emozione di decine di case restituite al loro valore artistico e storico, all'intimità della vita che vi si svolse. Al di là di ciò, quello che non viene colto è la trasformazione dei modelli di approccio alla valorizzazione dell'antico, che sta cambiando Pompei e ne può fare un laboratorio di sperimentazione di metodologie e tecnologie, come spesso è accaduto dal momento della sua scoperta, segnando tappe miliari nella storia del pensiero archeologico.
Pompei si sta riappropriando del suo passato attraverso le tecnologie più recenti. Così, mentre al Museo di Napoli si svolge una raffinata mostra sull'influenza del sito vesuviano nella cultura europea, e al centro dell'anfiteatro una struttura architettonica inedita ci presenta l'altrettanto interessante storia delle vicende conservative e metodologiche, cerchiamo di comprendere l'impatto effettivo degli interventi di conservazione e valorizzazione.
Di Pompei si parla spesso a sproposito, da un lato enfatizzandone un valore iconico, indiscutibile e sedimentato lungo gli ultimi tre secoli, ma che adombra ingiustamente altri siti vesuviani altrettanto suggestivi e scientificamente rilevanti; dall'altro sottolineandone i problemi in occasione di crolli o danneggiamenti, senza riflettere sulla complessità conservativa che avrebbe anche oggi una città di ventimila abitanti nessuno dei quali in grado di effettuare alcun intervento di manutenzione, la cui cura fosse esclusivamente affidata a un manipolo di solerti addetti ai lavori costretti – nell'oblio dei clamori e delle cronache – a coordinare interventi di manutenzione lungo oltre sessanta ettari di territorio. Messa in questi termini, è evidente come le necessità basilari si pongano, prima ancora che sul piano dei mezzi di intervento, su quello degli strumenti per un monitoraggio costante, efficace, completo. E, sempre in questi termini, è più facile comprendere il valore del cruciale degli strumenti di informazione, e il mutamento di approccio che si sta verificando grazie all'uso ponderato della tecnologia.
Oggi la Soprintendenza opera una gestione con strumenti del tutto nuovi rispetto a dieci anni fa. Complessi database tengono nota dei dati conservativi di ogni singolo muro e ne registrano innumerevoli informazioni, per garantire interventi in base a priorità rigorose, droni sorvolano le rovine restituendo le medesime informazioni per i tratti non accessibili allo sguardo, modelli tridimensionali dell'intero sito sono realizzati e archiviati attraverso l'uso di scanner laser di ultima generazione (che aprono anche accattivanti prospettive nel campo della realtà virtuale).
Non sappiamo ancora (forse ce lo dirà lo stesso Grande Progetto Pompei, nella sua parte legata alla comunicazione), in che misura questi mezzi innovativi potranno essere percepiti esplicitamente dal grande pubblico, e quanto resterà invece dietro le quinte, a governare e facilitare processi virtuosi in quella quotidianità che per sua natura non fa mai notizia, ma è comunque importante sottolineare come un salto in avanti nel tempo sul piano della metodologia consenta sia agli specialisti che al grande pubblico di compiere più agevolmente quel salto indietro di duemila anni che ciascuno sperimenta varcando l'ingresso della città. Che attraverso le tecnologie del futuro Pompei si riappropria del proprio passato, e di quello di tutti noi.
Augusto Palombini (CNR-ITABC)