Curata da Gabriele Simongini per l'80° anniversario della morte di Filippo Tommaso Marinetti, la mostra Il tempo del Futurismo alla Galleria Nazionale d’ Arte Moderna di Roma (fino al 27/04) presenta 350 opere futuriste ed esempi di innovazioni tecnologiche come automobili, idrovolanti, cineprese e apparecchiature ottiche. L'esposizione include l'installazione immersiva di Lorenzo Marini e vari documenti, manifesti, libri, sculture, dipinti e proiezioni, tutto dedicato alla velocità e ai cambiamenti apportati dalle scoperte scientifiche del XX secolo.
Marinetti aveva trovato, nell’ebbrezza della velocità provata con la sua Isotta Fraschini, l’ispirazione per esaltare in un manifesto la celebrazione della nascente modernità tecnologica, che avrebbe affossato il passato: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia." Le parole notissime del Manifesto del Futurismo su Le Figaro nel 1916, esplosero nella loro fulminea originalità aggressiva: il passato non aveva più spazio nell’epoca della modernità. L’espressione della velocità della macchina era la nuova icona, capace di essere più attraente del dinamismo scultoreo della Nike acefala del Louvre, che si posa sulla prua di una nave da guerra. Le parole di Marinetti non erano una novità assoluta. Già Giosuè Carducci, nell' Inno a Satana (1863), aveva celebrato la potenza della locomotiva. Il sociologo Mario Morasso, nel 1905, aveva anticipato l'apologia estetica della macchina rispetto alla Vittoria di Samotracia e Umberto Boccioni, con “_Auto in corsa_ (Caccia alla volpe)” del 1904, ironizzava sulla velocità delle auto rispetto alla lentezza di uomini e animali. Quello che Marinetti intuì fu il dinamismo tecnologico come affermazione estetica della nuova società, segnando la nascita del Futurismo, distaccato dal ‘passatismo’ e libero dalla tradizione accademica. La macchina, protagonista delle nuove figure pittoriche, è un oggetto informe e dinamico, vibrante di una sinfonia di colori e di luci nello spazio. Ne sono esempi le opere esposte ora a Roma, come Dinamismo di un’automobile di Luigi Russolo ( 1912-13 ) del Museo di Arte Moderna di Parigi e Automobile in corsa di Giacomo Balla ( 1912 ), del Museo di Rovereto.
Guglielmo Sansoni (Tato) - Spiralata. Sorvolando in spirale il Colosseo, 1930 (olio su tela 80 x 80), Coll. Priv.
L’entusiasmo di fronte alla velocità che aveva preso gli occhi, la mente e l’anima dei futuristi, era manifestato da macchine e imprese eccezionali propagandate dai record sportivi e dalle esaltate sfide belliciste di Gabriele D’ Annunzio. In mostra la Maserati da corsa di Tazio Nuvolari, l’idrovolante Macchi con il quale Francesco Agello batté il record di velocità sulle acque del Garda. In un apposito settore sono raccolte opere dell’aeropittura che mostrano l’espressione artistica non solo del volo in sé, ma del paesaggio visto nell’ottica del pilota. L’Aeropittura era stata anticipata dall’ Aeroplano del papa di Marinetti del 1908 e dal Manifesto della Aeropittura del 1929, in cui si afferma che le opere contengono un doppio movimento, quello dell’aereo e quello del pittore che muove la mano: c’è dunque un’intima compenetrante partecipazione dell’artista al volo. In mostra, fra gli altri dipinti, Sorvolando in spirale il Colosseo di Guglielmo Sansoni, in arte Tato, del 1930, che prende ispirazione da quanto era stato detto nel Manifesto sulla forma del monumento che cambia aspetto se visto da un aereo che plana a spirale.
La ricerca di una realtà urbana senza più il naturalismo imperante, ma riscritta in una forma fluida e dinamica con pochi elementi reali, viene illustrata da Umberto Boccioni nella Città che sale del 1910-11, conservata al Moma e presente in mostra. La sua prima opera futurista è uno dei grandi esempi della nuova ri-costruzione del mondo voluta dagli artisti futuristi. Di Boccioni, in verità poco rappresentato, sono presenti Gli Stati d’animo del 1911, sempre del Moma, che mostrano tre momenti diversi sentiti all’interno di una stazione ferroviaria a Milano (Gli Addii, Quelli che vanno, Quelli che restano), in cui il pittore esprime la sua esperienza simbolista ed espressionista, vicina a quella mitteleuropea, ed evidenzia quanto aveva detto nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910: “Tutto muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente… per dipingere una figura non bisogna farla; bisogna farne l’atmosfera.” E dunque i tre dipinti mostrano a noi non le figure umane, ma i loro stati d’animo. Di Boccioni non poteva mancare la bellissima scultura in bronzo Forme uniche della continuità dello spazio (1913), dove la figura umana, attraverso un intersecarsi di forme concave, convesse, cave, piane, arrotondate, di luci e ombre, senza cessare d'essere corpo, sembra come una macchina che corre al vento. Peccato però che l’opera più famosa sia stata in seguito ritirata dal collezionista per incomprensioni sulla inadeguatezza della didascalia esposta.
Giacomo Balla. Espansione dinamica + velocità (1912), Olio su Tela (147 x 114,7), GNAM, Roma
Dopo la morte di Boccioni, il 17 agosto del 1916 a 33 anni, cadendo dal suo cavallo imbizzarrito alla vista di un autocarro, il nuovo astro futurista è Giacomo Balla di cui vediamo la suggestiva Lampada ad arco (1909-11) del Moma (N.Y.), realizzata durante il periodo divisionista, in cui il pittore mostra uno straordinario bagliore ottenuto con colori puri, rappresentando scientificamente la scomposizione della luce. Di Balla è presente anche La ragazza che corre sul balcone (1912), della Galleria d’Arte Moderna di Milano, in cui il pittore mostra non la figura in sé, ma il suo dinamico spostarsi in orizzontale attraverso piccole tacche di colore azzurrino sovrapposte. Per questa ed altre opere (ad esempio il Cane che corre, con la moltiplicazione delle zampe), Balla si era servito degli esperimenti del dinamismo fotografico tentati in quegli anni dai fratelli Bragaglia, presenti con poche foto in mostra, che in realtà inizialmente era stato rifiutato dai futuristi perché concernente solo la fotografia e non l’invenzione del dinamismo plastico futurista; sebbene in seguito, nel 1930, venisse accettato ed esaltato da Marinetti e Tato, senza però portare ad una sua vera valorizzazione. Più accoglienza nel Futurismo ebbe invece il cinema che con il Manifesto del 1909 rappresenta la prima avanguardia cinematografica in Europa. Per Marinetti il cinema è un’arte chiaramente futurista perché non ha un passato ed esprime in modo sublime l’illusione del movimento; ma di esso va rifiutato il cinema narrativo, troppo ancorato alla tradizione letteraria, mentre bisogna guardare a uno spettacolo: “antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero “. Poche purtroppo le pellicole superstiti, alcune proiettate in mostra: si conservano fotogrammi di Vita futurista del 1916 e Thais del 1917 di Anton Giulio Bragaglia, con le scenografie di Enrico Prampolini. Di questo grande scenografo, l’unico dell’avanguardia teatrale italiana di fama europea, vi è poco esposto, a parte un curioso teatrino di burattini col volto caricaturale in legno dipinto, dei politici di allora.
L’architettura futurista è rappresentata, sia pure con pochi progetti esposti, da Antonio Sant’Elia, con le sue utopie urbanistiche e architettoniche mai realizzate. Geniale inventore di soluzioni avveniristiche, Sant’ Elia, morto giovane in guerra nel 1916, ispirò Le Courbusier ed il film Metropolis di Fritz Lang (1927) ed avrebbe potuto lasciare una grande eredità all’architettura moderna, ma le sue proposte innovative non furono comprese e mai accettate.
Il Futurismo ha avuto un grande impatto sulla cultura e l’arte del Novecento, sviluppando soprattutto la sperimentazione di nuovi linguaggi, svecchiando la soffocante tradizione del passato. E' un’arte che, al di là del linguaggio profetico superomistico pregno di echi nicciani del Manifesto, mostra una libertà e una ribellione antiborghese, che Gramsci aveva definito “rivoluzionaria”, non priva certo di ambiguità, ma che fu la prima grande avanguardia, ispirando tutti i movimenti delle avanguardie europee, dal Cubismo, al Cubofuturismo, dal Bauhaus al Dadaismo. Un’arte però che si è conclusa tutta nel suo tempo, forse già nella prima folgorante fase rivoluzionaria, quando il gruppo dei futuristi si sciolse per confluire, dal 1918, in una seconda ondata contaminata con il cubismo ed il costruttivismo. Per poi dissolversi, dal 1929 al 1939, quando i futuristi si lasciano trascinare dal ritorno all’ordine, dalla coralità reazionaria, dal bellicismo esasperato finché l'immaginario dell’arte visiva sempre più si sarà accostato e si disperderà nella nuova avanguardia del Surreralismo.
Giangiacomo Scocchera, 20/02/2025.