Ecco un libro che ha fatto e farà parlare di sé, perché illustra tanti oggetti, che erano ancora da raccontare: ‘Patrimonium Appiae. Depositi emersi’ commenta oggetti che il paziente lavoro di scavo e di recupero del secolo scorso ha catalogato e preservato nei contenitori museali e che, per quanto concerne un discreto numero di reperti, è stato ora scientificamente riunito ai ritrovamenti archeologici dei secoli precedenti.
E’ il patrimonio museale disseminato sul territorio, emerso nel secolo scorso, che nel 2022 è stato aperto, raccolto ed esposto al pubblico nella mostra ‘Patrimonium Appiae. Depositi emersi’, allestita nel quadro delle iniziative del Parco Archeologico dell’Appia Antica diretto dall’architetto Simone Quilici. Una delle iniziative che finalmente promuoveranno l’Appia, nella procedura esaustiva di elezione, Sito archeologico del patrimonio protetto dall’Unesco in Italia. Il ‘Patrimonium Appiae’ è ora un libro che punta alla ricostruzione e conservazione dell’Appia nei dintorni di Roma, intesi come territorio e bacino culturale, dal quale, attraverso il Medioevo e l’Età Moderna, la sua geografia si estende a tutta la storica percorrenza meridionale fino a Brindisi e al Mare Adriatico. Un volume dal quale non può non brillare, nel millennio attuale, il nome di Antonio Cederna, il cui Archivio, oggi consultabile a Capo di Bove, è stato ed è la fonte della storia anche politica e della salvaguardia di questo inestimabile tesoro, giardino indispensabile del mondo, che per secoli ha ispirato l’architettura dei parchi delle ville nobiliari romane ed europee. L’opera di molti, tra i quali Archeomatica non può non ricordare Annalisa Cipriani di Italia Nostra, ha letteralmente trasportato al futuro l’immagine dell’Appia Antica, che oggi, non più così frammentata, rappresenta anche una risorsa biologica e turistico-economica per la città e per il paese. Il paesaggio dell’Appia, nell'agro romano in prossimità delle Paludi Pontine, degli insediamenti preistorici dei Colli Albani e dei guadi sul Tevere, era stato formato da boscaglie, da campi coltivati e da appezzamenti a pascolo fin dall’antichità ed è tuttora denso e costellato di fattorie, case residenziali, ville, cappelle, chiese e basiliche, strutture difensive e circensi, sepolcri e sepolcreti pagani e cristiani. ‘Patrimonium Appiae. Depositi emersi’ è dunque il titolo completo del catalogo della mostra a cura di Francesca Romana Paolillo, Mara Pontisso e Stefano Roascio, che si è tenuta nel 2022 e per tutto il primo semestre del 2023, al Casale di Santa Maria Nova, al V miglio della Via Appia Antica. Il Casale è nei pressi dell’incrocio alla diramazione che raggiungeva la via Latina, come si legge sul sito web del Parco, dove anche il catalogo PDF si può scaricare. Nel volume, edito da SAP Società Archeologica (632 pp., 744 ill. a colori, euro 80), agli esaurienti saggi introduttivi sulla storia e le caratteristiche dell’area fanno seguito approfondite schede di ogni luogo narrato in mostra (il ‘contesto’ nel gergo degli archeologi), oltre alle schede dei singoli oggetti, con settantacinque coautori in totale: è dunque una vera e propria pietra miliare degli studi sulla Via Appia. Vi si legge che i monaci della Congregazione Benedettina di Santa Maria del Monte Oliveto mantennero la proprietà del Casale di S. Maria Nova fino al 1873 circa, quando, l’importante tenuta, che, secondo la storia della campagna romana di Giuseppe Tommassetti, era stata suddivisa tra diversi fittavoli, fu messa all’asta con il suo più rilevante edificio, che aveva preso le forme attuali tra il XV e il XVI secolo. In seguito, appartenne ai conti Marcello, che ne affidarono la ristrutturazione a Luigi Moretti e al produttore cinematografico Evan Ewan Kimble, che la trasformò in dimora di lusso per poi venderla allo Stato Italiano nel 2006. Il catalogo scheda più di 250 tesori inediti tra statue, mosaici, affreschi, gioielli, armi e raffinati utensili di uso quotidiano, provenienti dall’ambito territoriale che rientra nell’attuale giurisdizione del Parco archeologico e dei pertinenti spazi museali. Mara Pontisso ha curato l’articolata scheda della Nereide seduta su un mostro marino (fig.1), tra le altre di rilevante interesse.
Il gruppo scultoreo a tutto tondo in marmo bianco, con la parte inferiore della figura femminile avvolta da un drappo e la superiore, scoperta, mutila di un braccio, proviene dal IV miglio della Via Latina, in località Quadraro ed è ora ubicata nell’Antiquarium di Lucrezia Romana (MUVI). L’accurata analisi iconologica della studiosa, che coerentemente assimila la statua di Nereide ad un frammento da ‘thiasos’ marino sepolcrale, rileva la testa crestata del mostro, che l’accomuna ad una pistrice.
La letteratura fantastica e l’arte del Medioevo hanno trasmesso al futuro l’immagine del drago che sputa fuoco, creatura celeste che, prima di essere marina o alata, è crestata, come in questo gruppo isolato, dal retro più grezzo e forse, perciò, appoggiato ad una parete, e dove, alla base, i flutti del fortunale compaiono smussati. Le Nereidi oceaniche del celebre passo delle Metamorfosi ovidiane sul corteo marino delle porte bronzee del Tempio di Apollo (l'Oceano è un fiume del globo celeste), non escludono che la creatura custodita tra loro dal fenomenale Proteo in Egitto fosse la greca Elena (fig.1), la donna più bella di tutte (Apollodoro, Bibliotheca, Epitome, 3, 5). Proteo, nei Dialoghi marini (IV) di Luciano di Samosata, è la fiamma abbacinante che, come il polipo, cambia di colore vicino allo scoglio: la mimesi dell’arte. Il volume contiene per ogni opera, ad accompagnare le riproduzioni, saggi illustrati e curati da autorevoli studiosi per aiutare a riannodare i fili delle diverse testimonianze archeologiche, risultato di quasi un secolo di lavoro di scavo. Ad esso sono connesse le attività di studio, ricerca e tutela, nel solco dell’archeologia globale, che intende basarsi su un’ottica di lungo periodo, priva di preclusioni cronologiche e disciplinari, strettamente legata com’è al territorio. E propone i contesti archeologici che hanno restituito testimonianze materiali utili a definire la storia degli insediamenti e delle frequentazioni della campagna romana, a partire dalla preistoria e fino all’epoca contemporanea, con il curioso ritrovamento di un nucleo di armi della Seconda Guerra mondiale dalla Villa dei Sette Bassi. E’ importante infine ricordare che il complesso di S. Maria Nova (Villa dei Quintili), dopo l’acquisizione al demanio, è stato oggetto di un intervento di restauro, recupero funzionale e adeguamento, che ne ha consentito l’apertura al pubblico nel giugno del 2018. Oltre al complesso di Capo di Bove è utilizzato anche, con l’ausilio delle tecnologie inclusive più avanzate, come museo vivo e accessibile alla fruizione del verde e dell’Antico, attraverso periodiche occasioni d’intrattenimento archeologico, artistico, musicale e di danza, per lo più gratuite al pubblico.