Inaugurata, nel corso di un evento spettacolo, lo scorso 31 agosto a Gioiosa Guardia, antico insediamento affacciato sul Tirreno un’opera di land art realizzata dal SicilyLab, diretto da Antonino Saggio, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana alla Sapienza-Università di Roma.
Gioiosa Guardia è una città medievale fantasma, arroccata a oltre 800 metri di altezza alla testata di un crinale che termina a picco sul Tirreno. Il sito medievale, il cui nome, Gioiosa Guardia, è quello nuovo che Lancillotto impose al castello della Dolorosa Guardia dopo averne infranto gli incantesimi che vi imprigionavano o uccidevano i cavalieri erranti, prese vita nel 1366 voluto da Vinciguerra d’Aragona. Il centro abitato fu progressivamente abbandonato negli ultimi decenni del XVIII secolo con la contestuale creazione sul mare di Gioiosa Marea. Su un pianoro immediatamente sottostante il paese medievale negli anni ’80 del secolo scorso è stato scoperto un centro siculo risalente all’età del bronzo, poi ellenizzato e distrutto in concomitanza alla fondazione dirimpetto alla citta' di Tindari. L’insediamento di cui sono stati scavati pochi lembi aveva un impianto regolare e ha restituito materiale di pregio. Non se ne conosce ancora il nome.
In un’area della Sicilia, storicamente considerata marginale, l’antico insediamento posto su un alto terrazzamento del monte Meliuso, rappresenta un esempio emblematico dei contatti che si svilupparono a partire dal Settimo secolo avanti Cristo tra greci e popolazioni locali. La sua importanza consiste proprio nelle nuove prospettive di ricerca che il suo studio apre sulla “ellenizzazione” come categoria storica e sui cosiddetti “indigeni”. L’antico insediamento si inserisce in una rete di centri di altura collegati da percorsi di crinale che punteggiano il sistema collinare parallelo alla costa tirrenica. Ad oggi si conoscono solo alcuni dei nomi di questi centri abitati (Abakainon, Agatirnon, Alontion, Apollonia).
Grazie a un’installazione immersiva sviluppata dal team interdisciplinare, che da quindici anni lavora sul centro abitato di Gioiosa Marea e sul suo territorio comunale, parti dell’antica città sono state ricostruite digitalmente, ricreando alcuni degli isolati originari, in un insieme di conoscenze che combinano archeologia, arte, architettura e nuove tecnologie.
Quest’anno, all’interno della rassegna “Il Sorriso degli Dei”, organizzata dal Parco Archeologico di Tindari, diretto dall’architetto Domenico Targia, per la direzione artistica di Anna Ricciardi, è stato possibile esplorare, ricostruito con visori 3d, l’antico insediamento battezzato per l’occasione “Hellas Gioiosa”, in onore della madrepatria greca. L’happening ha avuto come fulcro un tempio circolare realizzato da SicilyLab, dedicato alle donne di scienza di ieri e di oggi. Un’opera di “land art” a ridosso dello scavo archeologico, tra l’insediamento siculo-greco e la rocca. Poco prima del tramonto, è andata poi in scena la lettura interpretata “Hestia, la figlia del Tempo”, con Cinzia Maccagnano ed Elio Crifò (Antonio Putzu ai flauti), a cura del Parco Archeologico di Tindari.
“Da una parte il Sicily Lab – ha affermato Antonino Saggio - ha costruito tridimensionalmente l’insediamento greco siculo ippodameo e naturalmente lo ha fatto con il massimo delle conoscenze attuali, e utilizzando tutti i contributi scientifici sia interni, sia naturalmente di studiosi esterni provenienti tanto dalla comunità scientifica che da nuovi rilevamenti che il Sicily lab anche quest’anno sta compiendo. La ricostruzione tridimensionale naturalmente ha offerto ai visitatori dell’evento la possibilità di apprezzare in modalità immersiva lo spazio della città com’era e che noi abbiamo chiamato Hellas, immaginando appunto una memoria greca”.
“Una chiave dell’installazione – prosegue l’architetto – è costituita dal rapporto tra l’insediamento abitato greco-siculo e l’acropoli in alto. A segnare questa relazione, corrono lungo le falde del monte una serie di segnali di impatto visivo ed emotivo sull’ambiente: sono lunghi teli bianchi ondeggianti al vento che mostrano il percorso che legava l’abitato all’acropoli. Naturalmente in cima all’acropoli nei pressi della torre di avvistamento Federiciana, in cui ancora esistono i ruderi della chiesa del monastero, ci sarà – e come non potrebbe non esserci? – un tempio. Un tempio naturalmente circolare (ricordo della Thòlos di Delfi dedicata a Athena o di quello di Vesta a Tivoli) a ricordare i movimenti degli astri o i circuiti del divenire, a segnare il tempo e le stagioni e gli orientamenti, ma anche un tempio contemporaneo”.
“Lo pensiamo vissuto da delle vestali contemporanee e che a chi lo visita manderanno dei messaggi, parleranno suoneranno canteranno forse nella loro lingua madre. E così – conclude Saggio – il visitatore compirà un viaggio che parte dal basso dalla ricostruzione dell’antica città di Hellas Gioiosa e percorrendo le falde arriverà al punto di massima concentrazione simbolica e informativa del mondo: il tempio, un tempio moderno”.
All’evento è intervenuto anche Antonio Presti, presidente della Fondazione Fiumara d’arte. Per SicilyLab hanno contribuito alla realizzazione di “Hellas Gioiosa”, oltra all’architetto Saggio, l’archeologo Michele Fasolo, gli architetti Davide Motta, Patrizio Puppo e Federica Mercuri, i laureandi in architettura Andrea Di Santo, Aureliano Pizzini, Enrica Donati, Chiara Corsetti e Martina Cristaudo. Prezioso, inoltre, il contributo di Valerio Perna e Michela Falcone (architetti), Gaetano De Francesco (ricercatore architetto) e Alessandra Antonini (fotografa). La manifestazione gode del patrocinio dell’Ordine e della Fondazione degli Architetti delle provincie di Messina e Palermo, nonché del Comune di Gioiosa Marea, con il sindaco Giusi La Galia e l’assessore alla Cultura Teodoro Lamonica.
Ecco l’intervento nel corso dell’happening di Michele Fasolo, direttore responsabile di Archeomatica:
A PROPOSITO DI HELLAS GIOIOSA (English version of the text follows the Italian version)
La realizzazione di un’installazione artistica contemporanea in un sito archeologico remoto come Gioiosa Guardia, completamente immerso in un paesaggio stupendo ma decisamente impervio e proprio per questo ancora fortunatamente lontano da degenerazioni e influenze volgari, rappresenta un’intersezione significativa, con potenzialità estremamente feconde, tra le riflessioni della geofilosofia del paesaggio culturale, come delineate da studiose come Luisa Bonesio e Caterina Resta, e le pratiche artistiche della Land Art.
Tale impresa trascende la mera creazione di un'installazione, configurandosi piuttosto come un atto filosofico e fenomenologico che intende esplorare e problematizzare l’interazione tra persona umana, natura e cultura, in continuità con le sperimentazioni concettuali di artisti e teorici che hanno ridefinito negli ultimi decenni il rapporto tra spazio, tempo e arte e penso in particolare ad artisti come Robert Smithson e Richard Long.
L’impresa materiale da parte dei realizzatori di trasportare da soli, a mano, circa una tonnellata, prevalentemente di legno compensato, lungo un sentiero, stretto, accidentato e in salita di circa 1 km, precisamente da quota 750 m sino a quota 819 m s.l.m., con una pendenza che ha superato l’80%, per assemblare poi, in maniera assolutamente non agevole, una ricostruzione archeoutopistica di un tempio sul ciglio di un costone della montagna, non costituisce un mero problema logistico e di sicurezza sul lavoro, ma piuttosto è un elemento centrale dell'esperienza estetica e concettuale dell'opera.
Tra i tanti rivendico con soddisfazione alcuni meriti a questa operazione:
un primo merito credo importante, la concretezza, la materialità ovvero non il solito chiacchiericcio fuffa dei soliti, stantii, inutili, dibattiti/presentazioni-passerella,
poi un secondo merito, il considerare il paesaggio non come sfondo o cornice come potrebbe avvenire con alcuni eventi e spettacoli in luoghi come Gioiosa Guardia, ma, in particolare il paesaggio culturale, come un soggetto vivente, quale effettivamente è, attivo e dialogante, un interlocutore, con cui l’artista stabilisce una relazione dinamica.
Il paesaggio, si trasforma, così, in un’“epifania geofilosofica”, un luogo in cui sono riportati alla luce, riportati a manifestarsi i legami profondi tra la dimensione naturale e quella culturale, dove il sacro si intreccia con la storia e la memoria collettiva, ancestrale, a volte inconsapevole della comunità e per questa sua inconsapevolezza, a volte smarrimento, memoria da riattivare mediante processi di riappropriazione.
Mi piace richiamare a tale proposito una studiosa come Rosalind Krauss, che ha esplorato il significato dell’intervento artistico nel paesaggio attraverso il concetto di “expanded field”, in cui l’arte si estende oltre i “confini tradizionali” per diventare parte integrante dell’ambiente naturale e culturale.
La nostra installazione, non è quindi una ricostruzione filologica di un tempio che non c'è mai stato sul ciglio di un costone della montagna, ma piuttosto un'opera archeoutopistica, una "scultura ambientale" che trasforma il luogo stesso in un'opera vivente, capace di interagire con il contesto circostante e con i viandanti in modi imprevedibili e profondamente significativi, non un oggetto fisico, ma un evento, un’esperienza che si manifesta e si manifesterà con un proprio destino nel tempo e nello spazio.
E allora capiamo, in primis chi ha partecipato a realizzare l’opera, che la sua complessità e sofisticatezza materiale si estendono ben oltre la fatica del trasporto e dell’assemblaggio, e implicano piuttosto una consapevolezza e percezione che ogni gesto e ogni decisione presa nel corso della realizzazione, e dopo in ogni interazione con essa, contribuiscono a tessere una rete di significati che trascendono il semplice atto creativo, il paesaggio culturale realtà stratificata, dove le tracce del passato si fondono con le esperienze del presente, creando dunque un palinsesto dinamico che l’artista è chiamato a interpretare e trasformare. Altro che identità di cui tanto si parla a sproposito.
L'installazione su un costone di montagna, così remota e difficile da raggiungere, ci invita poi - non dimentichiamolo - a confrontarci con la fatica e la dedizione che spesso mancano e di cui perciò c’é grandissima necessità per comprendere e valorizzare il patrimonio culturale.
Secondo Heidegger, l'arte è una modalità privilegiata attraverso cui si rivela l'essenza dell'Essere.
La montagna di Gioiosa, con la sua presenza imponente e il suo isolamento, assume qui oggi attraverso la nostra azione e quelle di tutte le persone che nel tempo ci hanno preceduto un ruolo ontologico. Essa non è solo il luogo dell’opera, la nostra, quella degli abitanti di Gioiosa Guardia, dellla città dei siculi e dei greci, ma diventa essa stessa opera, manifestazione del divenire dell’Essere.
Questo progetto vuole invitare dunque a una riflessione profonda sul significato del paesaggio culturale, sul ruolo dell’arte nel tempo e nello spazio, e sulla nostra capacità di dialogare con le tracce del passato in modo rispettoso ma innovativo.
La nostra installazione artistica vuole configurarsi così come un crocevia di significati, un'opera aperta che stimola una continua reinterpretazione del nostro rapporto con il mondo.
E' stato entusiasmante, gioioso partecipare a questa esperienza insieme a 4 architette, Chiara Corsetti, Enrica Donati, Federica Mercuri e Martina Cristaudo e altrettanti architetti, Andrea Di Santo, Aureliano Pizzini, Davide Motta (main designer) e Patrizio Puppo, oltre naturalmente a Antonino Saggio, ordinario di Composizione Architettonica e Urbana all’Università La Sapienza di Roma, maestro venerato e visionario di generazioni di architetti alcuni dei quali, non presenti, hanno però lavorato proficuamente nelle retrovie all’impresa: Alessandra Antonini, Gaetano De Francesco, Michela Falcone, Antonello Marotta, Valerio Perna.
E bisogna essere grati ad Anna Ricciardi, Cinzia Maccagnano, Elio Crifò, Antonio Putzu e ai tanti altri che hanno lavorato alla buona riuscita dell'evento, alla sindaca di Gioiosa Marea Giusi La Galia, all'assessore ai Beni Culturali Teodoro Lamonica, al direttore del Parco di Tindari Arch. Domenico Targia, all'archeologo Piero Coppolino, e a tutti gli intervenuti. Ci ha onorato della propria presenza poi il Maestro Antonio Presti.
Video integrale dell'evento al link https://www.2343ec78a04c6ea9d80806345d31fd78-gdprlock/1278034045/videos/928556399081232/
photos/images/videos credits SicilyLab, Antonino Saggio, Patrizio Puppo
ABOUT HELLAS GIOIOSA
Creating a contemporary art installation in a remote archaeological site like Gioiosa Guardia, nestled in a stunning yet challenging landscape, far removed from vulgar influences and degradation, represents a significant convergence. It offers potentially fruitful opportunities at the intersection of geophilosophical reflections on cultural landscapes, as outlined by scholars such as Luisa Bonesio and Caterina Resta, and the artistic practices of Land Art.
This endeavor transcends the mere creation of an installation, evolving into a philosophical and phenomenological act that seeks to explore and question the interaction between human beings, nature, and culture. It follows in the footsteps of conceptual experiments by artists and theorists who have redefined the relationship between space, time, and art in recent decades, particularly artists like Robert Smithson and Richard Long.
The physical effort of carrying nearly a ton of primarily plywood by hand along a narrow, rough, and steep 1 km path, from 750 m to 819 m above sea level with a gradient exceeding 80%, to assemble an "archeoutopistic" reconstruction of a temple on the edge of a mountain ridge is not just a logistical or safety challenge. Instead, it is a central element of the aesthetic and conceptual experience of the work.
I take pride in a few key merits of this operation:
First and foremost, its concreteness and materiality—steering clear of the usual empty talk and pointless, stale debates or self-serving presentations.
Second, the approach to the landscape, not as a backdrop or frame, as might be the case with some events in places like Gioiosa Guardia, but particularly the cultural landscape, as a living entity. The landscape is active, engaging, a dynamic interlocutor with whom the artist establishes a relationship.
Thus, the landscape transforms into a "geophilosophical epiphany," a place where the deep connections between the natural and cultural dimensions are brought to light, where the sacred intertwines with history and collective, ancestral memory—sometimes unconscious, sometimes lost and in need of reactivation through processes of reappropriation.
In this context, I am reminded of the scholar Rosalind Krauss, who explored the meaning of artistic intervention in the landscape through the concept of the "expanded field," where art extends beyond "traditional boundaries" to become an integral part of the natural and cultural environment.
Our installation is not a philological reconstruction of a temple that never existed on the edge of a mountain ridge, but rather an "archeoutopistic" work, an "environmental sculpture" that transforms the place itself into a living work, capable of interacting with the surrounding context and passersby in unpredictable and profoundly meaningful ways. It is not a physical object but an event, an experience that manifests and will continue to manifest itself over time and space.
We realize, especially those who participated in creating the work, that its material complexity and sophistication extend far beyond the labor of transportation and assembly. It involves an awareness and understanding that every gesture and decision made during its creation—and later, in every interaction with it—helps weave a network of meanings that transcend the simple act of creation.
The cultural landscape is a layered reality, where traces of the past blend with present experiences, creating a dynamic palimpsest that the artist is called to interpret and transform. It's far more than the often-misunderstood concept of identity.
The installation on a mountain ridge, so remote and difficult to reach, invites us—let's not forget—to confront the effort and dedication that are often lacking, and yet are crucial for understanding and valuing cultural heritage.
According to Heidegger, art is a privileged way through which the essence of Being is revealed. The mountain of Gioiosa, with its imposing presence and isolation, today assumes an ontological role through our action and those of all who have preceded us. It is not just the site of our work, that of the inhabitants of Gioiosa Guardia, of the Siculi and Greek cities, but it becomes a work itself, a manifestation of the becoming of Being.
This project thus invites deep reflection on the meaning of the cultural landscape, the role of art in time and space, and our ability to dialogue with the traces of the past in a respectful yet innovative way.
Our artistic installation aims to be a crossroads of meanings, an open work that stimulates a continuous reinterpretation of our relationship with the world.
It was exhilarating, joyful to participate in this experience alongside four architects— Chiara Corsetti, Enrica Donati, Federica Mercuri, Martina Cristaudo —and four equally architects—Andrea Di Santo, Aureliano Pizzini, Davide Motta (main designer) e Patrizio Puppo,—not to mention Antonino Saggio, a revered and visionary professor of Architectural and Urban Composition at the University of La Sapienza in Rome. Some of his students, though not physically present, contributed significantly behind the scenes to this endeavor — Alessandra Antonini, Gaetano De Francesco, Michela Falcone, Antonello Marotta, Valerio Perna.
And we must extend our gratitude to Anna Ricciardi, Cinzia Maccagnano, Elio Crifò, Antonio Putzu, and the many others who contributed to the success of the event, as well as to the Mayor of Gioiosa Marea, Giusi La Galia, the Cultural Heritage Councillor, Teodoro Lamonica, the Director of the Tindari Park, Architect Domenico Targia, the archaeologist Piero Coppolino, and all those who attended. We were honored by the presence of Maestro Antonio Presti.
Full video of the event
https://www.2343ec78a04c6ea9d80806345d31fd78-gdprlock/1278034045/videos/928556399081232/
photos/images/videos credits SicilyLab, Antonino Saggio, Patrizio Puppo