Servirà un terzo protocollo dell'Aja?

Servirà un terzo protocollo dell'Aja?

Due agenzie delle Nazioni Unite hanno firmato un accordo per proteggere i siti del Patrimonio Culturale, utilizzando le più recenti tecnologie geo-spaziali, tra cui applicazioni analitiche di immagini satellitari.
 Le tecniche satellitari sono da tempo attive in campo militare, con altissime risoluzioni che consentono il rilievo di dettaglio a terra anche in misura inferiore ai 30 cm convenzionali degli attuali satelliti commerciali in onda.

Determinano inoltre anche viste che l’occhio umano non può apprezzare, tracciando gamme di frequenza al di fuori della soglia del visibile od utilizzando sensori ad alta precisione quali i radar interferometrici. 
L’uso militare di tale tecnologia, sviluppata da moltissimi anni, è più mirata ad azioni di difesa svolta dall’intercettazione preventiva di interferenze che alla pura e semplice constatazione di un evento calamitoso.

L’Italia stessa dispone da molti anni di satelliti Cosmo Sky-Med, che, costruiti principalmente per scopi difensivi da azioni di belligeranza sul territorio, sono impiegati saltuariamente o marginalmente anche nella protezione e nell’emergenza in campo civile. Il loro raggio di azione è quello del Mediterraneo, dove hanno la capacità di inviare informazioni con monitoraggio in continuo di movimenti anche centimetrici. Il change detection di Cosmo Sky-Med è dichiarato tale da raggiungere uno dei massimi livelli al mondo di percezione, per la sua capacità di registrare e restituire in un arco di brevissimo periodo ogni minima variazione o alterazione di vista e immagine. Probabilmente avrà o avrebbe potuto preallertare con accuratezza non solo l’avvicinamento al complesso, ma anche dettagliare i danni apportati ai siti archeologici colpiti sia siriani che iracheni.

Siti archeologici e musei sono stati distrutti durante vere e proprie azioni militari, verso i quali l’attivazione di qualsiasi sistema di difesa dovrebbe aver allertato per primi tali cosiddetti satelliti ‘spia’, che potrebbero aver registrato informazioni e contenuti protetti anche durante gli attacchi delle azioni devastanti, tracciando le traiettorie di spostamento perfino dei materiali.
La Costellazione Cosmo Sky-Med è un potenziale strumento progettualmente orientabile alla difesa del Patrimonio dell’Umanità, se programmato preliminarmente alla prevenzione del danno e non solamente finalizzato di supporto alla pura e semplice constatazione ed indagine eventuale.

La convenzione per la protezione del Patrimonio Culturale in caso di conflitto armato, adottata a L’Aia in Olanda nel 1954, prevedeva nel Primo Protocollo la proibizione di esportazione di beni culturali da territori occupati.
Un Secondo Protocollo, che era stato introdotto successivamente ai conflitti degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, venne ratificato di conseguenza nel mese di marzo del 1999.
Un simbolo, come quello raffigurato a fianco, deve segnalare permanentemente in una indeterminata casualità di belligeranza, come un luogo così contrassegnato convenzionalmente corrisponda a zona neutrale e contenente beni culturali di altissimo valore per l’umanità, sia storico-documentale che monumentale, al fine di proibirvi sul campo, su un piano sovranazionale, l’intervento distruttivo avanzato per necessità bellica.
L’azione alienante in tempo di pace, di emergenza o di guerra civile dovrebbe avere in comune con la guerra il rispetto di convenzioni internazionali stabilite tra organismi di protezione e salvaguardia mondiale, che si avvalgano degli strumenti più idonei predisposti per la difesa, il soccorso degli inermi e dei profughi e la protezione delle frontiere non solo in caso di conflitto armato dichiarato o silentemente invasivo. Senza che per questo tali mezzi, o malauguratamente un loro uso deviato, possano o debbano avvilire la popolazione civile e la soglia di sopravvivenza di un territorio indiscriminatamente minacciato nella propria cultura e nelle proprie risorse.

L’aver investito in tecnologie geospaziali di altissimo livello, con satelliti in grado di monitorare “tutto”, in uso per la difesa della popolazione, non esime dalla loro adeguata applicazione per la protezione di un territorio, di una lingua e la conservazione del patrimonio di creatività cui le sue espressioni e la sua vita quotidiana attingano, anche tenendo nella giusta considerazione storica di previsione la Convenzione dell’Aia e i relativi due protocolli, ai quali è stato fatto cenno.
L’Unesco avrebbe potuto anche assecondare, in ordine al Secondo Protocollo, un’azione introduttiva del sistema a largo raggio in paesi come l’Italia, che dispongano di satelliti “spia” dedicati alla difesa del Mediterraneo, la cui entrata in funzione appena pochi minuti dopo la loro attivazione non necessita di complicata burocrazia ed accordi preliminari. Oppure, a sua volta promuovere ancora nuove entità di gestione addirittura per decidere, sul piano del monitoraggio costante delle eccellenze monumentali, l’impiego settoriale dedicato di sedi tecniche, che, tra l’altro, sono ormai altamente sperimentate nei punti di emergenza che qualificano un territorio, come quelli monitorati dalla Difesa.
E speriamo che anche per questo non si debba attendere un Terzo Protocollo della Convenzione dell’Aia.

 

Editoriale pubblicato nel Numero 2 2016 della Rivista Archeomatica - Tecnologie per i Beni Culturali.

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