RI-TRATTI D’ARTISTA. Giovambattista Cuocolo.

RI-TRATTI D’ARTISTA. Giovambattista Cuocolo.

Vedere una mostra in galleria oggi è più che un evento: non richiede solo partecipazione, carica emozionale, senso critico e voglia di esporsi, di esserci, ma anche la forza di sondare quella che una volta, in bocca ai critici, era la tua realtà.

 

Non è detto che ti possa ritrovare in un dipinto, nella pittura, insomma, che è una parola legata al sempre, ma è vero che questa pittura è arrivata a te, navigando tra i ‘social’, l’attualità, lo spettacolo, i musei, il traffico, e cioé, non si è fatta tracimare dall’aspirapolvere che ogni giorno risucchia il tuo sentire privato, dove privato è anche la sfera dell’intimità personale, che è bella senza la vetrina di pubblicità del prodotto, non lo spazio della tua pelle dove infili un gioiello, un vestito, un tatuaggio o un auricolare, ma un altro corpo che parla senza percuoterti come un cellulare o azzerarti come uno psicologo. Ecco che fa questa pittura: è il tuo silenzio, nel tuo messaggio che viaggia, interpersonale, che ti muove all’ascolto. Una grande tecnica, un coraggio e una ricerca che ti fa trovare. 

Vorremmo dire comprate la pittura, musealizzatela, insegnatela, tramandatela, guardatela per strada o nelle case quando l’incontrate perché è libertà nient’affatto inibita dal desiderio di possesso che contraddistingue il mercato artistico e non risponde soltanto alla domanda nel suo farsi vedere; comprate la pittura che fa anche questo e se non la volete comprare, apritela con le vostre menti, è dentro di voi che parla: vorremmo dire non è solo l’esclusiva del mercato che fa il successo di un’opera in termini di valore commerciale. Che i quadri di Giovambattista Cuocolo, ne cito alcuni intitolati ‘Specchio della medusa’ del 2015, ‘Il silenzio della Follia’ del 2016, ‘Solitudine’, ‘Desiderio’ e ‘Il frutto perduto’ del 2019 abbiano attraversato il colore espressionista di un Franz Marc come un’onda è un mistero svelato, che espandano nella bidimensionalità della tela il dinamismo della forma degli Stati d’animo di Umberto Boccioni significa che hanno anche la memoria storica che non appartiene solo al passato soggettivo, e a quello libresco, musicale, televisivo o twittato, ma che fa stile dei propri miti, non mimetico, uguale e ripetitivo, ma tratti riconoscibili nel tempo oltre i propri fantasmi, uno dei quali è l’esperienza della fotografia. Questi quadri si appropriano della figura animalesca e umana come un ritorno di memoria che scorre spuntato alla tavolozza infinita dei colori dell’arcobaleno che sprigiona: un’immagine archetipica che disfa la luce fotografica e che un ‘rendering’ al computer non potrebbe che misurare, ma che solo l’occhio e l’energia del sentimento che vibrano osano fluidamente comporre. Questa pittura c’è, si può vedere fino al 18 maggio 2019 al PLUS ARTE PULS, l’atelier ‘underground’ di Viale Mazzini 1, da cui è scaturita in più edizioni l’iniziativa ‘Manifesto per l’arte’ che con Ennio Calabria ha sostenuto la riaffermazione della soggettività creativa e dove compaiono altri nomi del panorama attuale, tra cui Domenico Fatigati. Espongono in ‘Ri-tratti d’artista’ con bel catalogo, insieme a Cuocolo, anche Franco Ferrari, Carlo Frisardi, Danilo Maestosi e Nino Pollini.

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Fig 1- Giambattista Cuocolo, Desiderio, 2019 (tecnica mista su carta, cm.60x40)

Con l’allegria di un giallo solare, che riaffiora dalla profondità, ‘Desiderio’ (Fig.1) di Giambattista Cuocolo, datato 2019, è una tecnica mista su carta, di piccolo formato, che scopre quella leggerezza del materiale che aveva rivoluzionato l’arte degli anni Sessanta del Novecento, avvicinandola al nero su bianco della stampa, della parola e della fotografia e che riesce ad essere, sopra quel materiale, un’ecfrasi di purezza di timbro e di cinesi, un cinema a pennello. Ritrova lo spessore sottile del ‘pamphlet’ che aveva reso la pittura un oggetto che discute ed è discutibile, entrando nel vivo delle polemiche del cambiamento e nella presa del reporter, mentre sulla soglia creativa si era affacciata la Computer Art, ma è anche tascabile e commerciale, puoi portartela a casa come un quotidiano, è un pezzo. Forse non è un caso che questa fragile esposizione ‘Ri-tratti d’artista’ appaia in simultanea con la vendita di ‘Finarte Roma’ di opere dalla collezione della ‘Galleria La Tartaruga’ di Via del Babuino 56, che negli anni Sessanta con Dorazio, Perilli, Turcato, Scarpitta, Mafai e Mino Maccari apriva le porte all’adolescenza troppo proiettata di molti cavalcando l’esplosione della Pop Art, da quel punto d’incontro diventata un fatto non solo statunitense. Se la nostra coscienza non è costruita del tutto dai libri, fatta di fotografia, di cinema, di politica e di musica, nell’espressione sola ‘del mordi e fuggi del cronista’, se ha ritrovato la sintonia con la memoria, se ha rallentato la sua corsa al passo dell’intelligenza artificiale è in quell’opera aperta, in questo fare di quadro in quadro. 

L’esposizione della raccolta della Tartaruga in vendita, realizzata in un’attualissima ‘compilation’ che comprende anche gli autografi di Cy Twombly del mitico ‘68, alla quale ha attinto a tempo la vivacità dissacrante, soprattutto italiana, della vignetta, del ‘cartoon’ e dell’amabile ‘writing’, è gemellata all’asta di ‘Arte moderna e contemporanea’ del 15 maggio 2019 di quadri che ne erano il tendenzioso testo maestro, accanto, cioé, nell’occasione, ad Alberto Burri, Renato Guttuso, Jannis Kounellis, Lucio Fontana, Antonio Corpora, Fausto Pirandello e molti altri: quadri, non solo dipinti da comprare, che sono stati l’obbiettivo della memoria visiva e fotografica di un altro sentire, che muoveva dall’orgogliosa solitudine ‘d’essai’ al mare del suo pubblico sulla strada. Entrambe tenute, le due ultime vetrine, a Palazzo Odescalchi, Piazza SS.Apostoli 80, dove il contesto dell’‘auction’, alla quale si accede dal portale di formula berniniana, ha il privilegio di una dimensione museale, svolgendosi nelle sale al piano terreno della Casa d’Aste, la pià grande delle quali ha la volta affrescata (Fig.2) con il ‘trompe-l’oeil’ di una balaustrata che s’innalza al cielo di una luminosa terrazza con ogni specie di piante e uccelli. Celeste galleria che, ancora senza attribuzione, ricorda la vaghezza della curiosità antiquaria di Giuseppe Passeri e soprattutto di Giovan Paolo Pannini, il pittore attivo per gli Odescalchi verso la metà del Settecento nella Galleria ‘nova’ di Villa Grazioli a Grottaferrata, opera firmata. La residenza dei principi Odescalchi annovera anche oggi ai piani superiori l’illustre collezione omonima di dipinti, resa ancora più celebre dalla Conversione di Saulo Odescalchi.

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Fig. 2 - Galleria di Palazzo Odescalchi, piano terreno (particolare dell’affresco); Ferruccio Vecchi, Ritratto di Delia, bronzo, 1940 (dettaglio)

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