C'era una volta SBN

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Le bio-tecnologie e la radiodiagnostica, comprese le tecnologie laser e le cosiddette tecniche d'indagine non invasiva, applicate al corpo umano e alla chimica farmacologica, o al rilievo ambientale, per tutto il secolo scorso hanno costituito il settore d'approfondimento della struttura e della resistenza dei materiali storico-artistici e archeologici dal quale attingere, che non prescindesse in linea generale dalla classificazione estetica della loro durata e, cioé, dal criterio paramedico della documentazione di uno status tutt'altro che immodificabile nel corso del tempo. Nonché esse stesse la risorsa privilegiata, dalla quale potesse essere anticipato, con altrettanta tempistica innovatività, lo sviluppo di una sempre più emergente connotazione di area di ricerca disciplinare autonoma. Dotata di lessici propri e di banche-dati e, con il progressivo adattamento al recupero conservativo, finalizzata, oltre che al restauro, alla prevenzione e alla capitolazione del complesso di norme di salvaguardia dei beni culturali, che insorgeva dalla relativamente recente osservazione dinamica dell'impatto ambientale e del rischio antropico, confluiva sotto i profili anastilotici, analogici ed analitici, ora antesignani di una metodologia diacronica, da campo sperimentale di applicazione a ricerca induttiva di parametri di definizione.

Sarebbe a dire che, non solo le tecniche di prospezione vi sono impiegate attraverso uno spettro elettromagnetico specifico come quello dei raggi X, o altra utilizzazione, progettata e sperimentata sul corpo umano, testandole secondo criteri analitici di processi di fabbricazione seriali tipici dell'industria produttiva metalmeccanica, ma anche che ne è stato avanzato e incrociato un complesso di strumentazioni in competizione fra loro, che connotano una ben definita area di ricerca chimico-biologica in campo fisico determinato, dedicata e non più derivata. Parallela nel contempo all'adozione standardizzata dell'indice di Opac Sbn nella ricerca bibliografica, elaborata originariamente sul sistema informativo della Library of Congress di Washington, al quale appartiene l'odierno Unimarc.
Il bando di gara della Fondazione Accenture, con una visione strategica puntuale, ha messo in palio un milione di euro per la migliore idea che possa dare nuovo impulso alla conservazione dei beni culturali supportata e fruita da nuove tecnologie.
Una conservazione e una protezione della vulnerabilità del patrimonio culturale che di per sé non induca forzosamente un bilancio revisionale, dove e quando altamente passivo ed infruttifero che sia attribuibile all'immancabile ammortamento del parco tecnologico, specialmente se inutilizzabile per mancanza di personale ad hoc formato, e in cui la formula chiave di base sia la sostenibilità autonoma dell’idea.
Da anni il campo d'intervento accusa la perdita di risorse globali per la loro scarsa veicolazione all’interno di un medesimo piano programmatico, perfino dove reiteratamente introdotto sulle stesse emergenze monumentali, che non abbia previsto in termini di ritorno la misura dell'investimento di un organico progetto complessivo, non particolareggiato, e sempre più frantumato e particellare. L'Open access, se si volessero considerare esemplari a questo proposito, gli Open data approntati dal Ministero per i beni e le attività culturali, devono il danno al loro costante incremento più ai costi di riduzione dell'implementazione in senso restrittivo, che alla primitiva assunzione, al prelievo e al trasferimento memorabile in digitale dei databases, di per sé originariamente resi possibile dalla massiva incidenza dell'informatizzazione sull'abbattimento dei costi di distribuzione e diffusione fino ad allora sostenuti, anche se tuttora disgregati rispetto alle modalità d'integrazione cooperativistica del Dublin Core. Ne sono un esempio sotto il profilo della ricerca i databases del MISCIO, realizzato dal CNR come eccellenza della produzione italiana nel campo di aggiornamento periodico delle scienze primarie, introdotto da JSTOR sul piano umanistico più generale, ma sotto il profilo della fornitura, con limitazioni d'accesso evasive dello stesso protocollo inderogabile d'intesa, applicato alla ricerca internazionale degli Open Sources. In altre parole, inaccessibile on-line alle stesse Università e biblioteche di settore.
Tornando alle idee per il bando di gara, riportato nel sito Ideatre60.it, non è possibile che dare atto allo stimolo conferito da una tale iniziativa volta non solo ad orientare l’interesse e la spinta occupazionale dei giovani nel settore.
I suoi corollari, la fruizione del bene in rapporto alla variabilità e ampliamento della base di utenza in funzione delle sue possibilità economiche, aumentando per così dire gli Open accesses diretti alle opere d'arte esposte e depositate senza costi aggiuntivi di allestimento, come l'estensione della visita gratuita settimanale, invece che mensile, a tutti i musei, fino alle più remote iniziative vaganti contemplate dall'Icomos e non, di fruizione personalizzata, o di realtà digitale come la Carta del rischio, o le Realtà aumentate, tramite le devices introdotte da Google di sovrimpressione alla visione reale con un occhiale dedicato, ricompresi o meno da un intervento di salvaguardia.
Preferibile, che non sia finalizzato a monumenti considerati singolarmente, come gli ormai fallimentari progetti ICT sui beni culturali, che ripartano da zero, cioé, con scarsa considerazione sui risultati già raggiunti, od isolatamente nel sistema misto pubblico-privato di finanziamento della sponsorizzazione in senso stretto, il caso del Colosseo.

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