Quali sono gli strumenti utili all’archeologia? Rilevare le aree prima di scavare, cercare cripte, controllare gli interni di murature… Gli archeologi utilizzano diversi metodi geofisici: georadar, geoelettrica, magnetometria… quando usare uno, quando l’altro?
Il Georadar (GPR) funziona inviando un piccolo impulso di energia nel sottosuolo, o in un manufatto (muro, colonna, statua...). Ogni variazione nel materiale crea un riflesso dell’impulso, che viene raccolto e memorizzato.
Il georadar è la tecnologia geofisica più accurata e ad alta risoluzione. Funziona meglio in terreni sabbiosi, secchi, poco conduttivi. Individua vuoti, cavità, oggetti nascosti, determina le dimensioni dei target, e soprattutto la profondità alla quale si trovano.
Inoltre, non opera solo sul terreno, ma anche in edifici, strutture, dietro a pareti; con una capacità di andare molto in dettaglio (con le antenne ad alta frequenza) o molto in profondità (bassa frequenza). Il segnale penetra meno in profondità nei terreni argillosi, non passa il metallo.
Il Georesistivimetro viene usato per mappare la profondità dei suoli e delle rocce. Si tratta di posizionare degli elettrodi nel terreno (generalmente 24-48) e misurare la resistività del terreno sotto la linea di picchetti.
Questo strumento funziona bene nei terreni argillosi o conduttivi, ma richiede più tempo e non raggiunge la risoluzione del georadar.
Si possono raccogliere 80 o più profili georadar, nel tempo necessario per raccogliere 2-4 profili elettrici. La geolettrica permette però di indagare molto più in profondità rispetto a un georadar, dando anche delle informazioni sulla tipologia di materiale presente nel terreno.
I magnetometri sono sistemi con sensori passivi, misurano l’intensità del campo magnetico terrestre. Gli oggetti metallici o con una suscettività magnetica variano l’intensità del campo magnetico terrestre, e il magnetometro li individua indicandone la posizione. Sono adatti a fare le mappature estensive e veloci di un’area.
Gli archeologi li usano per ritrovare le attività o insediamenti umani che creano una anomalia magnetica rilevabile. Ad esempio, i vecchi forni, le cucine creano anomalie magnetiche più elevate, così come i mattoni e tutti materiali cotti ad alte temperature, i luoghi di stoccaggio e persino le vecchie trincee. I magnetometri fanno un buon lavoro nel trovare questi oggetti e forniscono informazioni indicative sulla profondità.
Gli elettromagnetometri caratterizzano il terreno sulla base della sua conducibilità elettrica e suscettività magnetica. Come i magnetometri hanno una grande rapidità di rilievo, che infatti chiamiamo ‘speditivo’. Esaminano simultaneamente le condizioni del suolo e individuano gli oggetti sotto la superficie, ma non forniscono buone informazioni sulla profondità. Come i magnetometri sono sensibili agli stessi target che creano variazioni magnetiche, sono più indicati per rilevare fluidi e materiali conduttivi come anche gli inquinanti.
Questi metodi sono spesso complementari, perché ognuno è il più adatto in diverse circostanze. Vengono utilizzati in combinazione per ottenere informazioni più dettagliate e circostanziate.
Si può utilizzare un rilievo speditivo per individuare le zone più interessanti, da approfondire poi con tecniche più precise.
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