Ripercorrere la Roma Quadrata - Intervista a Piero Meogrossi

Ripercorrere la Roma Quadrata - Intervista a Piero Meogrossi

Archeomatica: A proposito della memoria del passato della città di Roma, Andrea Mantegna, nella parete dell’Arrivo del cardinale Francesco Gonzaga della Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova (nell'immagine di apertura - fig. 1), ha dipinto una veduta di Roma, in cui sono sparse intorno ad un unico colle alcune ‘mirabilia’: la Loggia della Basilica di S. Pietro prima dell’abbattimento, il Circo, l’Acquedotto e il Colosso neroniani, il Mausoleo di Onorio, la Piramide di Romolo, le Mura Aureliane, il Tevere al di sotto ed in alto, all’interno delle mura, il Colosseo ed il Colle Capitolino, sullo sfondo di un altro simbolico colle. La data 1465 dell’affresco, che ha una valenza storica e commemorativa, è una pietra miliare dello stato di conoscenza dei monumenti?

Meogrossi: Questa domanda mi sembra perfetta per introdurre il tema delle rovine romane connesso all’immagine della città nel XV secolo, argomentazioni fondamentali negli incontri tra umanisti ed antiquari,  come, ad esempio, nella gita sul lago di Garda del 23 settembre 1465, vissuta da Giovanni Marcanova con Samuele da Tradate ed il pittore Andrea Mantegna. In quell’occasione, così racconta Felice Feliciano, i tre personaggi discussero certamente di Roma e degli stessi temi antiquari trattati dall’accademia Romana di Pomponio Leto e di Bartolomeo Sacchi, il Platina, imprigionato a Castel S.Angelo ed arrivato a Mantova al seguito del cardinale Francesco Gonzaga. Quegli intellettuali, attori della rivoluzione Gutenberg appena avviata, avevano in animo di commentare identità perdute tra le rovine sparse, di ricomporre tipologie disperse, di dare corpo e riconoscibilità alla forma di Roma antica attraverso i monumenti. Le colonizzazioni romane avevano modellato ovunque la ville dell’urbano e del suburbano ed i singoli insediamenti erano stati concepiti con mentalità interagente in rapporto al territorio, altrettante testimonianze di un realismo topografico capace di filtrare narrazioni simboliche come quella maturata da Mantegna subito dopo la famosa gita. L’affresco della Camera degli Sposi, avviato effettivamente nel 1465, avrebbe celebrato l’incontro a Mantova tra il duca Ludovico Gonzaga ed il suo secondogenito Francesco, appena eletto cardinale, che, in arrivo nella città, si poneva come messaggero del pontefice Paolo II Barbo da poco eletto (1464). La data 1465 sull’affresco è altresì significativa perché precede di due anni l’imprigionamento e l’allontanamento da Roma degli umanisti ad opera del papa Barbo ostile al neo paganesimo, il che dà la chiara misura della ventata antiquaria approdata a Mantova ed in seguito a Venezia con la cerchia di Pomponio Leto. I disegni, convalidati dai racconti degli esuli, ed i primi libri a stampa dovevano ricomporre la cultura dell’antico con le fonti storiche della chiesa romana, in altri termini visioni di Roma e scambi diplomatici con l’urbs del Papa dovevano poter essere rappresentate, per quanto possibile realisticamente, nell’affresco di Mantegna, pur non essendovi lui ancora mai stato. L’idea della Roma antica e altrimenti contemporanea riaffiora dunque dall’affresco della famiglia Gonzaga nella Camera degli Sposi del palazzo Ducale, la cui geometria quadrata suggerisce con realismo simbolico la Roma Quadrata nascosta nel paesaggio archeologico caro alla memoria cristiana. Nel centro della camera il trompe l’oeil, l’oculo simile al Pantheon, fa rileggere però ai cherubini ed alle dame della corte, affacciatisi alla balaustra, una Roma circolare (fig.7a), sogni privati e pubblici assieme per avvicinare la mente al modello topografico ereditato dal mondo antico, da conciliare con autorità e fede cristiana. Ed ecco i bastioni e le torri delle Mura Aureliane aprire la mente laica per ribadire il paesaggio sacro ed identitario testimoniato dall’imponente Coliseum, dall’anfiteatro che troneggia dietro le mura dell’urbs condita, misteri a cui poter accedere una volta attraversata la porta sacra che domina le rovine sottostanti. Siamo di certo in presenza di Roma e davanti ai luoghi tramandati dagli umanisti, che sa come rileggere la Roma Quadrata da tempo dominio del Papa. Ma è il fuori del disegno quello che interessa e che rimanda alle orme laiche e religiose della topografia misteriosa per l’imago urbis Romae: un fiume, il ponte di Elios, il dominio Solis con il ponte dell’Angelo e lì vicino il Castellum, merlato e quadripartito, segnalano il nodo cruciforme per i traguardi topografici, indicazione utile per l’accesso dei pellegrini arrivati a Roma, in genere a Monte Mario da settentrione, per poi scendere verso il Palazzo Vaticano. Ecco schizzato il paesaggio dei septem pagi e del primo insediamento cresciuto a ridosso del Monte S. Spirito lungo il Tevere: la geografia antica da poter rendere riconoscibile in basso come in alto, per meglio commisurare le dimensioni della Città Eterna e le sue rovine. Allora l'identificazione del Circo di Nerone con la statua del Colossum, senza bisogno di mappe quantomeno percebili da lontano, dà visibilità neo-platonica al robusto plateatico Vaticano che ospita la Basilica, rappresentata con il templum paleocristiano e che ha anticipato la costruzione ed il dominio di San Pietro. Fuori le mura, tra le rovine ed in mezzo al folto verde selvatico svetta la Piramide di Romolo, quella fatta demolire da Sisto V per far posto alla chiesa di S. Maria in Traspontina. Le monumentalità dei luoghi, anche se non ne fossero chiariti i toponimi, adesso possono finalmente segnalare ai pellegrini il paesaggio antico da percorrere, se volessero entrare nel labirinto Roma ed essere indirizzati al Borgo Vaticano dalla storia di Nerone e di San Pietro.

Archeomatica: In un altro dipinto, tradizionalmente attribuito a Lorenzo Leombruno (e nel 2002 a Bartholomaus Dill Riemenschneider,), nella Sala dei Cavalli del Palazzo Ducale di Mantova, è rappresentato un paesaggio al sorgere del sole con una montagna che s’innalza sull’ovale di un labirinto d’acqua, in cui una delle imprese di Federico II Gonzaga, il Monte Olimpo, sembra fondersi col labirinto del Minotauro: in effetti un labirinto d’acqua è menzionato anche da Francesco Colonna nell’Hypnerotomachia Poliphili, il Sogno di Polifilo del 1499. L’immagine ingigantita del Palatino?

Fig2Figura 2 - Lorenzo Leombruno, L’Olimpo in mezzo al Labirinto, particolare (Sala dei Cavalli, Palazzo Ducale, Mantova)

 

Fig3abFigura 3a - Il Labirinto della città fortificata, xilografia, da: Hypnerotomachia Poliphili,1499
Figura 3b - Piero Meogrossi, Domus Neronis, Templum Claudi in Coelio, Templum Solis in Palatio, Velia Penatum, disegno a china, 1987-1995

 

Meogrossi: È il campo della città labirintica, quello dell’imago urbis che deve assicurare il potere, la giustizia, la libertà. I dati letterari assieme alle testimonianze fisiche miscelano la storia, rinnovando coi miti la scena del sogno antiquario per narrazioni pittoriche come quella di Mantegna, che dà corpo e sostanza all'emblematica dell’Olimpo tanto cara al duca Gonzaga. L’affresco Mantovano sceglie perciò la Polis posizionata tra terra e cielo per farne il paradiso in terra del Papa, il monte divino dell’Olimpo geograficamente inquadrato come labirinto da percorrere mediante l’eredità di Roma antica. Il potere religioso si rigenera ancora una volta e si rende compatibile con la contemporaneità, grazie le rovine della vasta topografia romana da secoli ormai sottomessa alla Chiesa dei Papi. E tale modello laico fa la differenza! (fig.1). I luoghi sparsi celebrano dunque la presenza cristiana ricalcando la topografia romana, le cui regole precise tornano a sostenere la corte dei Gonzaga e permettono di introdurre nuovi metodi di lettura della storia da consegnare alla rivoluzione Gutenberg. Il sogno neo-platonico filtrato dall’arte della memoria (la Mnemosyne, Aby Warburgh) alimenta così la comunicazione della potestà papale che si adopera a ricomporre gli equilibri naturali, dispersi in mezzo alle rovine di Roma un tempo unitariamente intesa, accendendo nuovi sguardi sulla città ideale. A nostro avviso anche gli amorini e le dame che si affacciano nella Camera Picta dei Gonzaga evocano la presenza invisibile della Venere Physizoa immancabile dentro la corte del Polifilo, per guidare il viaggio laico e sacrale da compiere e poter affrontare le battaglie della mente e del territorio: topografia antiquaria che nel riaffermare il sano rapporto tra uomo e natura stimola a conquistare il sogno di Amore (Hypnerotomachia 1499). Quei temi rigenerano le bellezze ereditate dalla fede e dalla cultura dall’antico e perciò da introdurre nelle corti Italiane lontane da Roma il cui disegno continuerà ad esercitare il fascino sulle mediazioni strategiche possibili, dovendo peraltro allargare la fede Cristiana a quei tempi minacciata. Del resto, il labirinto topografico composto sì dalle rovine, ma soprattutto dal potere romano, doveva essere reso riconoscibile e misurabile, se si voleva rendere credibile di fronte al mondo la Roma contemporanea. Dai cerchi di distanza della mappa messa in atto per la prima volta col modello di Leon Battista Alberti (1432-34) emergono diversi caposaldi territoriali, supporti per definire stratificazioni circolari di un labirinto Dedalico (fig.7a), comunque proteso ad agevolare il percorso di Teseo in cerca del Minotauro nascosto in mezzo alle rovine di Roma. La mente congiunta con il suo territorio, la dimensione urbana e quella suburbana, ci rimandano perciò alla città proposta da Mantegna, in cui non c’è mappa, ma disegno topografico, pura visione labirintica della storia dei meandri e canali in mezzo ai quali far emergere l’isola felice Roma (figg.2- 3a). Quel percorso intricato si afferma e riparte ogni volta guidato da Polifilo sul colle dell’origine, sul Palatino fino a supportare tutta Roma con l’Axis Urbis Romae riscoperto (Meogrossi 1987-2024/ fig. 8) e contrassegnato in cielo con il traguardo del Cardo che si incrocia in terra col Decumanus, il vessillo della croce cristiana innalzato sul campo di Costantino (in hoc signo vinces ), che arriva a ricordare le sacralità dei septem pagi o quella dei 27 Sacraria Septimontium Romae. (fig.7b). L’antichissima tradizione topografica Etrusco Latina aveva infatti asservito i bisogni alla realtà, attualizzando la disciplina gromatico agrimensoria, di tipo laico o religioso, che, dovendo assicurare col disegno i comportamenti sociali, è comunque rispettosa della storia quanto della geografia, come sembra voler evocare Mantegna nell’affresco. Ecco allora che, appena sotto le mura di Roma, caposaldi ben riconoscibili offrono piena visibilità al potere temporale che, ben oltre la mole dell’anfiteatro antico, stimolano la mente dello spettatore a pensare al Capitolium, al Quirinal, al Palatinus… ai colli diversi di allora eppur significativi… e molto di più! L’ager Vaticanus in primo piano, di certo non da ultimo, certifica dunque la visione dell’antico, che rimanda al potere temporale sancito nella Città Eterna, a luoghi consacrati per educare alla lettura delle rovine disperse, ma anche al sistema composto per parti di una classicità da perseguire unitariamente, imitando le regole mnemoniche del Somnium Scipionis di Cicerone e poi ancora dietro ai Fasti di Roma evocati da Mantegna tramite le epiche imprese dei Trionfi di Cesare (fig.7a) e fino alle narrazioni neo-platoniche maturate con l'Hypnerotomachia.

ArcheomaticaTu avevi già raccontato le narrazioni e le scoperte su Roma antica svolte negli ultimi anni? … in fondo come aveva voluto fare Mantegna con i suoi I Trionfi di Cesare ispirati al De Roma Triumphante di Flavio Biondo, di cui sarà stata curata un’edizione anche a Mantova ?  

Fig.4Figura 4a - Piero Meogrossi, Studi e topografia sotto e sopra il Palatino: via Sacra ed ex vigna Barberini, disegni a china, 1994; Figura 4b - Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, 1499, xilografie: Polyandrion, Elephans Memoriae

 

Meogrossi:
Già nel 1994, volendo investigare su alcune scoperte archeologiche per via topografica, mi ero servito dei disegni (figg.1-2-3-4-5-6-7-8) per meglio percepire i luoghi antichi di Roma, di cui non sempre c’è consapevolezza (www.ilsognodiRoma.it  @2006). Nei disegni dei Trionfi di Cesare la cultura umanista di Andrea Mantegna si integra a quella degli antiquari, che, nel percorrere la storia dei miti delle edizioni ovidiane e non solo, si cimentano a far rinvenire la topografia, repertoriando strumenti simbolici e segni adatti a rappresentare con senso e misura il quadro iconologico, che va a ricomporre assieme spazio, tempo e gravità del mondo classico. Così la mia trentennale ricerca nel disegnare le rovine di Roma antica a la maniera de li antiquari ha maturato le misure utili per il registro, unitariamente inteso, della Forma Urbis Romae (fig.6a). Il che permette di inquadrare l’archeologia e l’architettura per rendere più chiara la storia topografica ed i materiali delle rovine. Per tali motivazioni il labirinto romano, scoperto ed assunto col nostro Axis Paliliae, in quanto orma e traguardo che lega tra loro ed unifica caposaldi archeologici di età differenti, finisce per rappresentare proprio le stratificazioni dell’antico, mappate lungo il cammino del Polifilo, principe Prenestino, riscoperto da Maurizio Calvesi (figg. 3a, 3b). Anche il labirinto di Leombruno e la visione per Roma di Mantegna a Mantova finiscono così per dialogare con specifici topoi Romani, gli stessi dispersi in mezzo al sogno neo-platonico fissato sopra il colle Palatino, il territorio dunque delle frequentazioni del Polifilo svolte nello spazio tempo della Hypnerotomachia all’inseguimento dell’amata Polia. Le mie frequentazioni sul Palatino ed in genere nell’urbs come architetto restauratore mi hanno concesso l’onere e l’onore di provare a ricomporre la bellezza di Roma a quadro intero con la mediazione dei 1410 gradini, che caratterizzano il racconto della Piramide di Polifilo su cui si fissa in cima l’Obelisco del Cielo con la Dea Fortuna. Quell’architettura misteriosa apre allora riflessioni sul valore della misura pitagorica a radice 2, che aleggia soprattutto sul disegno della città, che si riordina grazie alla via topografica tra terra e cielo da prendere a modello (figg.7a-7b). Anche le identità simboliche e pragmatiche riconoscibili nel bel mezzo degli Adonaea della ex Vigna Barberini (è quello il giardino di Amore frequentato da Polifilo?) riconducono a misure storicizzate, grazie all’impianto dell’Axis Paliliae, ed è pertanto doveroso celebrare lassù i ricordi dell’origine in quanto valori sacri di Roma (fig.8). Ecco spiegato perché dalla Magna Porta si entra nella Piramide e si accede al colle dopo aver superato le Tre Porte di Amore (Mater, Coelo, Mundus), temi cari all’antiquaria come alla chiesa romana per riconquistare strumenti della matematica e dell’astronomia, regole e pratiche simili a quelle del Regiomontano. In fondo il traguardo dell’Axis Paliliae atque Romae sistematizza l’archeo-lettura mediante le stesse mète adottate in antico e studiate dagli umanisti dell'Accademia di Pomponio Leto e dai pittori come Mantegna, capaci di leggere l’invisbile per rigenerare il disegno di Roma, tramandato e sempre celebrato come memoria di formazione unitaria. A tale compito riteniamo fossero dediti gli eredi del famoso Lorenzo Valla, gli stessi umanisti che nel 1467, cioè due anni dopo l’avvio della Camera Picta, sarebbero stati esiliati da Roma a causa delle loro investigazioni. Evidentemente i misteri legati alla conoscenza dell’antico spaventano il potere!

Archeomatica: Ci sono vedute delle xilografie del Sogno di Polifilo che si possono identificare con precisione meno ideale di quel che si creda nei luoghi della Roma antica?

Fig5Figura 5a - Piero Meogrossi, La valle del Colosseo ed il Colossum super viam Sacram, disegno a china e composizione, 1994 Figura 5b - Francesco Colonna, Hypnerotomachia: Ruinae, Corus, Tempus Admissio, 1499

 

Meogrossi: Per poter immaginare la presenza di Polifilo anche nella valle del Colosseo e sul colle Palatino è utile, come già detto, registrare la presenza di ruinae disseminate ovunque, sopra e sotto, intorno ad un territorio collinare che, da fondale naturalistico si presenta oggi invisibile ed invivibile, a causa della perdita di ogni memoria dell’antropizzazione. Le regole per celebrare quei rituali di fondazione vanno rimandate allora alle allegre coppie danzanti che, felici di configurare in terra i recinti da tramandare e il caposaldo primario da fissare in mezzo al corus, accompagnno le diverse centralità da raggiungere ed autorevolmente da rappresentare, guidate dal Colossum. Il recinto circolare è assimilato alla bussola quadripartita di Leon Battista Alberti, che, dovendo misurare il cerchio sessagesimale lo rapporta allo spazio zodiacale, in modo da scandire il tempo dell’antico (4 x 12 = 48) (fig. 7a). Quel circolo domina dunque la topografia antiquaria, ma anche l’intero campo di Roma sopra il quale si svolgono i medesimi percorsi e tappe praticate alla corte di Polifilo, lo specchio umanistico riflesso sui vetri del palazzo di Euterillide, per far penetrare immagini e narrazioni nel misterioso labirinto archeologico del libero arbitrio congegnato sul colle Palatino (fig.8). Quei recinti fisici e mentali stimolano dunque anche il pittore Mantegna a ripensare il paesaggio, che modella giocoforza luoghi per poter far coincidere fonti letterarie precise e posizioni diverse. L’affresco di Mantegna suggerisce così ricordi antiquariali e invisibilmente muove la mente a ricomporre le posizioni perdute del Colossum con quello itinerante super viam Sacram, impiantato sopra con Nerone, e sotto la collina Velia con i Flavi e poi ancora con Adriano (figg. 5a, 5b, 7a, 7b). Tante rovine e frammenti monumentali alimentano i pensieri e la mente, alla pari dei giri delle coppie danzanti, per ritrovare direzioni e circolarità che debbono riempire lo spazio topografico della Roma ancora invisibile nel XV secolo. Ricomposto nella parte alta della Camera Picta il disegno di quel paesaggio labirintico, infatti, il pittore mette in evidenza ed in posizione centrata la statua di un Colossum, che testimonia le fasi da seguire per ben interpretare il labirinto antiquario e letterario. Le strumentazioni del Regiomontano e la mappa dell’Alberti, intanto, orientano per far capire sempre meglio il ruolo avuto in passato dalla collina Velia e le varie trasformazioni, prima di smantellare del tutto quel colle sacro a Roma! ...altro che Mussolini (fig.5a)! Le tappe storicizzate memorizzano ben altri percorsi iconologici, che rimandano addirittura ai 24 elefanti usati per rimuovere la statua gigantesca lungo la via Sacra per farla scivolare giù nella valle (fig.8): si avverte tutto lo scorrere del tempus admissio, il passato che non torna, ma che si rigenera attraverso i puttini incapaci di cavalcare il cavallo alato di Pegaso della tavola del Polifilo, il futuro da dominare (fig.5b). In effetti la storia mai riesce a fissarne tutte le posizioni e dunque a certificare come immutabile lo spazio della topografia antiquaria. Quel dinamismo, comunque destinato ad essere soppiantato dai dati archeologici scientifici più avanzati, attesta i ragionamenti del bisogno che continuano a sentire di misurare la realtà, documentando per simboli il contesto in trasformazione, che si specchia nel palazzo di vetro di Euterillide: ... e così il sogno della Hypnerotomachia restituisce senso ed equilibrio all’azione e rigenera la mappa di Mantegna per la Roma Quadra.

Archeomatica:  Fondamentale è il labirinto, che viene memorizzato dall’immagine che poi Bernini e lo scultore Ferrari verranno a realizzare alla Minerva con l’elefantino con sopra l’obelisco (n.d.r.: Umbilicus Romae)?

Meogrossi: Il labirinto in effetti è il luogo adatto a generare meandri ed a penetrarli in fondo per poter arrivare all’umbilicus urbis, a quel centro ipogeo fissato proprio nel centro del labirinto d'acqua ottagonale del Palatino e tagliato dal nostro Axis Paliliae (fig.6). Simile caposaldo topografico rimarca l’intero campo topografico di Roma e simbolicamente si identifica con il monte Olimpo Romano, concepito per meglio comparare i labirinti dei due affreschi del palazzo ducale dei Gonzaga. Quello di Leombruno rilegge il labirinto del costruttore Dedalo per penetrare con la mente artistica le visioni antiquarie disperse e riconoscere i luoghi. Regole per apprendere senza necessariamente sapere di topografia, ma tanto conoscendo dei bisogni dell’anima. Nel Mantegna invece la prospettiva definisce come invisibile il labirinto di Roma antica, eppure rimanda la mente dello spettatore colto a tipologie di monumenti famosi per i pellegrini o di riferimento per la tradizione religiosa cristiana, non necessariamente legata a luoghi come il Palatino o il Quirinale, in ogni caso strategici per completare il dominio sull’urbs. E’ dunque il Vaticano il labirinto invisibile da mostrare, quello di cui non si può fare a meno, perché vale assai più che il Palatino o l’Acropoli di Atene, più degli Ziggurat della Persia, più di qualsiasi Atlantide perduta, più di ogni sito pagano. Mantegna invita così a riconoscere il paradiso costruito in terra a Roma ed a riconoscere in primis quello rifondato dalla Cristianità per riaffermare il primato dell’Urbs caput mundi. Ai colti umanisti antiquari restava di investigare luoghi abbandonati come il colle Palatino (e le sue vigne sommerse tra le rovine come quella dei Colonna sulla piattaforma degli Adonaea), di provare a rilegare tra loro tutti i colli ritrovando traguardi antichi, un vasto paesaggio per una topografia rivolta a meditare in diverse direzioni, come insegnano a fare le favolose xilografie della Hypnerotomachia. Di fatto sembra l’azione delle acque che già dall’inizio del viaggio defluiscono per inquadrare un territorio e per specchiare la doppia realtà riflessa dai vetri del palazzo del libero arbitrio di Euterillide. Il sogno di Roma matura a poco a poco nella Mantova dei Gonzaga e prende avvio la narrazione del Poliflo che va in cerca della Polis e dell’amata Polia, sapienza di ogni bene da cogliere (Omnia Vincit Amor), sostegno, con l’antiquaria, della fede cristiana rimasta sepolta sotto il fitto paesaggio di una Roma ancora paganeggiante, come lascia intuire il disegno di Mantegna (fig.1). Quel mondo sembra dunque una sorta di risveglio dantesco che deve aiutare a ripercorrere la morfologia dei colli, a riconoscere i pendii favorevoli e le rovine sommerse, insomma è il labirinto topografico di Roma, che rimette ordine ai luoghi urbani e suburbani abbandonati. Polifilo per questo si risveglia e ritrova le zone umide lambite dal Tevere o dell’antica Suburra prossima ai Fori, quelle zone destinate alle piante acquatiche che si alimentano di terreni irrigati e dove nasce il subuteo, che crescono lungo le sponde del lago giù nella valle del Colosseo, che accoglie anche la Palestra in cui giocare, chiara evocazione del Ludus Magnus gladiatorio, dell’anfiteatro che Francesco Colonna nella Hypnerotomachia mostra con in sommità le piante intrecciate tra loro al posto dei pali per il governo del velarium Flaviorum. Un sogno che, a Mantova, avrà fatto rinascere ai primi del Cinquecento quel Culibeo coi soleri alti e seguri, che avrebbe evocato Ruzante nella sua commedia La Betia [n.d.r.: nel teatro Alvise Cornaro con scenografie di Giovanni Maria Falconetto)

Archeomatica: L’anno scorso ricorreva il centenario della nascita di Italo Calvino, che ha visto numerose iniziative espositive e convegnistiche sullo scrittore e la sua opera, alla quale anche tu, più precisamente in riferimento alle Città invisibili, hai dedicato un saggio dal titolo Orma_ Amor_Roma, privilegiando la struttura labirintica del suo romanzo e il suo procedere enigmatico e combinatorio per il viaggio nella Forma Urbis di Roma. Non tutti sanno che Le Città Invisibili, pubblicato nel 1972, apparteneva al periodo in cui Calvino partecipò più intensamente all’Oulipo, il gruppo letterario di Raymond Queneau e Georges Perec, che nella composizione combinatoria convenzionale riscopriva l’automatismo psichico del Surrealismo, creando un universo fantastico con infinite traiettorie e dimensioni possibili, a sua volta partendo dalla struttura della fiaba con lo scenario di un’immagine che si frantuma all’esordio. Tornando indietro nel tempo, la Roma moderna ha occultato la Roma antica per preservarne la sapienza, celandola di misteri come Marco Polo ha taciuto a Kublai Kahn il suo vero viaggio attraverso l’Asia con racconti fantastici di città inesistenti, lasciando segreta in questo modo anche la sua via di fuga. La risorsa di una cultura integrata consiste, quindi, nel dare spazio, attraverso l’inferno dell’invivibilità della città caleidoscopica, secondo Calvino, a ciò che inferno non è, come lo scrittore ha fatto dire a Marco Polo alla fine delle Città invisibili. In altre parole, nella chiave dello spostamento ai confini del mondo del mito del labirinto, Giove-Toro ha sedotto Europa sul Palatino invece che sul Monte Ida nell’Isola di Creta ?

Fig6Figura 6 - Piero Meogrossi, Forma Urbis Romae Severiana con Azimuth Axis Paliliae (Frammenti marmorei; Piede per la topografia; In valle Colisei in specie Ovi)----------1994

 

Meogrossi: Nel mio libretto Orma Amor Roma del 1994 sono sintetizzati disegni e scritti che validano, oggi più che prima, i commenti approfonditi nelle varie conferenze tenute sin dal 1987 allo scopo di sistematizzare e rendere comprensibile la mia ricerca sul disciplinare di topografia antica e sacra. Le misurazioni per un qualsiasi terreno quadrangolare, come dovrebbero ricordare gli studiosi del disegno della Forma Urbis Romae, vanno riferite privilegiando anzitutto una delle due diagonali dell’intero campo. Riferirsi di conseguenza alla Roma Quadrata adattata alla morfologia quadrangolare del colle Palatino segnala di fatto il nostro Axis Paliliae (da Pales, la dea Romana della pastorizia) con il relativo Azimuth da calare in terra, quasi fosse un piede topografico che va a rimarcare, passo dopo passo, il sentiero ideale per le infinite posizioni geografiche e conseguenti serialità di campi (fig.7b). Siffatti criteri nodali spiegano i tanti caposaldi posizionati nelle varie epoche sul colle Palatino e tra loro allineati per legare e porre in equilibrio le parti con il tutto. Tale metodo evidenzia su un contesto quadrangolare qualsiasi la necessaria suddivisione in due parti per sfruttare appieno la morfologia di un campo reale così misurabile. Derivare la separatezza ed al tempo stesso la sua unificazione condivisa con altri campi limitrofi rimanda ad una vera e propria rete invisibile che, attraversata ancora oggi dall’Ancile Solis atque Lunae (Ovidio, Fasti III, 351), assicura la protezione del labirinto territoriale, e non solo a quello di Roma. La regola è quella dei labirinti, il mito della fondazione di una civiltà, riscoperto per la prima volta a Creta ed all’origine di ogni altra civiltà mediterranea. Le regole per il labirinto del Toro-Minotauro di Dedalo, impiantato a Creta, avrebbero dunque fatto maturare il viaggio di Europa portata a Creta da Zeus (Europa sotto i monti Asterousia, Meogrossi, 2020) ed insegnato ai popoli i codici tra terra e cielo, utili alla sopravvivenza (Meogrossi, Disco di Festos, 2023). A mio avviso la parola greca Rumi, significativa per esprimere la forza necessaria a preservare identità e memoria, chiarisce il nome della Roma coloniale, fondata in mezzo al Mediterraneo per potersi ben rapportare ai luoghi ed alla geografia, città eterna appunto per essere capace di assecondare in terra le orme catturate dal cielo mobile, scambi impostati tra natura e sapere per far progredire domini e confini dell’umano. Ed ecco allora i valori sacrali della topografia dell’origine, il cui registro tramanda il labirinto Roma aassieme ai miti e alle storie collis Palatini super viam Sacram o quelle dei Fora Romanorum o quelle fissate in valle Colisei per l’incrocio della forza tra terra e cielo con la fontana Pinea del Sacellum Streniae (fig.8). Parimenti il traguardo strategico della platea Claudi sul Celio dialoga grazie all’Axis Penatum Romae con la collina Velia, smontata per far posto al Templum Veneris atque Romae, nodi pagani e narrazioni esportate a Mantova per riannodare la visione del Mantegna e comunicare al mondo il paesaggio sacro di Roma. La complessità topografica, assistita dal programma di architetti come Leon Battista Alberti, collima al racconto di umanisti del calibro di Lorenzo Valla e di Pomponio Leto, che si pongono a sostegno degli artisti delle nobili famiglie dei Colonna o dei Gonzaga. Così, a poco a poco, anche una Chiesa illuminata come quella del colto principe Polifilo Romano, si cimenterà coi simboli e le memorie per poter praticare i Fasti antichi e riscoprire grazie a loro l’altera Forma urbis Romae tra terra e cielo, senza aver sottovalutato i caposaldi della storia per rileggere, magari in chiave astronomica, la nuova topografia dei 7 colli con le stelle della costellazione del Toro e rifare il viaggio di Iside in cerca di Osiride, stavolta dietro al paesaggio cristiano di Mantegna (figg.7a, 7b).


Archeomatica: La forma della cultura mediterranea in una società matriarcale da una parte e propria all’evocazione religiosa dei Romani degli dèi delle culture del Mediterraneo conquistate, che i poeti latini hanno descritto dedite alla pirateria, dall’altra. Quindi tu riconosci all'interno del Foro Romano e della distribuzione dei vari templi nell'area una corrispondenza con la posizione cosmica del Sole e della Luna e dei pianeti, che portano lo stesso nome degli Dei venerati?

Fig7Figura 7a) - Piero Meogrossi, s.t., 1994: Aion, Sirena bicaudata, Sol Invictus, Amor Vincit Omnia (Francesco Colonna, Hypnerotomachia, 1499) e (Leon Battista Alberti, Descriptio Urbis Romae. 1432)

 

Fig7bFigura 7b - Piero Meogrossi, Signora degli Uccelli, Mundus Palatini, Aion, Tiber, Labirinto urbano, Forma Urbis Romae, disegno a china e matita, 1994_2001

 

Meogrossi: Il messaggio di conoscenza maturatosi ai primi del Rinascimento riguarda il Polifilo storicizzato, come già detto, se vogliamo ripercorrere i sentieri dei viaggi fantastici praticati da Calvino ed in quelli nostri, nella Creta lontana e dentro Roma. Lo scrivente, architetto e cultore archeologo, ha maturato infatti le sue ricerche sulle topografie antiche (1987-2024) fissate lungo traguardi identitari rimarcati in cielo ed in terra grazie alla scoperta dell’invisibile cardo Axis Urbis Romae (Fig. 7b). Quel traguardo primario, sicuramente trattato dagli antiquari Romani di Pomponio Leto sulla ex vigna Barberini (fig.8), ancora oggi tocca i centri geometrici di monumenti importanti e di epoche diverse. Il campo di Roma dunque diventa rappresentativo in termini simbolici e/o pragmatici e finisce per proporre il disegno a croce grazie al decumanus fissato in terra e parallelo alla via Lata. La coppia di quei traguardi primari, definisce le precise coordinate geografiche di una bussola spaziotemporale con cui si tesse la Forma Urbis nascosta tra siti e monumenti di Roma, una rete purtroppo non ancora ben conosciuta e tantomeno condivisa dall'accademia archeologica (fig.7b). Le misurazioni precise comprovate da numerosi dati testimoniali e letterari di fatto finiscono per appoggiare le immagini di ricostruzione precisa, che in ogni caso aiutano a sostenere immagini di Roma come quella descritta da Mantegna (fig.1). Gli obiettivi da adottare oggi certamente non possono essere gli stessi di quando gli antiquari ragionavano per posizioni evidenziate tra le rovine del Palatino o per legarsi agli altri siti dell’area centrale (fig.7a). Si tratta adesso di far riemergere antiche attitudini del vedere, del misurare, del leggere diversamente le architetture fantastiche del sogno di Polifilo, e rinvenire tra i simboli dell’antiquaria le chiavi per rileggere in termini sincronici e diacronici la pianta della città contemporanea per meglio gestire il costruito architettonico di rovine con la realtà del sogno culturale NeoAntico da sostenere, ogni volta diversamente, con le narrazioni archeologiche e quelle architettoniche assieme. Ne deriva la storia dell'anfiteatro in specie ovi legata a quella del Tempio di Claudio sul colle Celio, o quella della Domus Aurea o della collina Velia, condizionate da impianti e sistemi realizzati da imperatori fino dalla lontana Villa di Adriano. Le tante e diverse entità archeologiche acquisite, una volta resa comprensibile la topografia della loro architettura rovinata, dovranno tornare ad essere rilette e commentate come estensioni della mente umana, protesa alla geometria territoriale dell’origine, apokatastasi utile a rimettere in gioco le doti naturali in espansione, risorse pronte a calare di nuovo sui terreni fisici dell’antico che sapeva come rapportarsi alle stelle ed ai moti in cielo ……. (figg. 5a, 5b, 7a).

Archeomatica: E il Colosso era a cavallo della Via Sacra?

Fig8Figura 8) - Piero Meogrossi, Struttura e simboli della Forma Urbis Romae (Foto e Disegno dell’autore, 1994. Tavola su base aerofotogrammetrica SAR, 1996): Mundus Palatinus (I); Axis Paliliae (II,III); Betilum Apollinis in palatio Augusti (III); Spectio via Sacra (II,IV,V,X); Adonaea (frammento FUR) (VII,VIII,IX) ipotesi Piramide HP; Giardino di Adone (Hypnerotomachia); Sepulcrum Haterium (IV,V,VI,VII,VIII); Meta Sudans (II); Sacellum Streniae (II); Colossum Flaviorum super viam Sacram (X)

 

Meogrossi: Per rispondere meglio alla posizione del Colossum super viam Sacram (fig.5) dobbiamo anzitutto valutare direttamente sul campo archeologico, gli oggetti fisicamente e simbolicamente caricati di significati utili ad inquadrare la veduta di Roma che il Mantegna mostra nell’affresco immaginando il sito della Basilica di Pietro storicamente abbinato al Circo Neroniano, che è rappresentato con la piattaforma basamentale estesa al centro della veduta. Per essa si ipotizzano dimensioni invisibili eppure realistiche, che materializzano sempre in primo piano il Tempio a forma di Basilica e più in là, slanciato sopra l’alto piedistallo circolare, il Colosso (forse di Nerone) che troneggia, focalizzando l’intera visione, che deve stimolare lo spettatore ad identificare nella pittura la città, nella quale domina chiaramente la presenza del sacro e dell’antico, doppio segnale per ricordare il dominio della Cristianità sopra il mondo Pagano e richiamo evidente al modo di intendere la città di Roma per meglio coniugare mente e territorio assieme, storia e topografia letteraria che deve restituire ruolo e autorevolezza all’imago urbis (fig.7a-7b). Mantegna, posizionando nel mezzo dell’affresco il Colosso, non chiarisce se quello è di Nerone o di Costantino o di altri, né avrebbe potuto farlo senza conoscere la storia statuaria e meno che mai gli spostamenti tramandati per il Colossum Neronis. Le posizioni dovevano suggerire sempre direttrici primarie verso le aree fuori e dentro la città (fig.7b). Il Colossum Adriani in valle Colisei, quello con la testa svettante la collina Velia, demolita per volgere lo sguardo libero verso i Fora e il Campus Martis (dalla via dei Fori Imperiali al Pantheon) si sostituisce al Templum Penatum (fig.5a). Pur alterandone notevolmente gli spostamenti, i dettami della rete topografica antica si modificheranno nella più tarda età barocca per concedere al papa Sisto V di accreditare nuovi valori simbolici ed urbanistici, ma senza mai annullare il ruolo pratico dell’Axis in quanto gnomon urbis congiunto agli obelischi contestualizzati in tutta la città. Quei traguardi di memoria lunga, similmente a quella racchiusa nell’elefantino della Hypnerotomachia (fig.4b), avrebbero assegnato entità innovative alla Roma Barocca per rigenerare un potere temporale rispettoso delle dimensioni reali in terra, necessarie a dominare la scienza in cielo ed a cavalcare il tempus admissio (fig.5b). La concezione di quel doppio letterario, fisico e simbolico, disperso e mai veramente perduto sui territori romani, materializza il ricordo del traguardo sacro che dall'Arx Capitolina si rivolge ancora verso l'Arx dei Colli Albani a 30 Km di distanza e spiega la sacralità della Via Sacra, toponimo perfetto per la dimensione simbolica dell'asse, che taglia il Templum Veneris atque Romae e l’Amphiteatrum, direttrice longitudinale del piano equinoziale per incrociare in terra nel Sacellum Streniae, Pinea per rammentare a Roma di calpestare il cammino della mente attenta ai domini mutevoli del cielo e dell’umano (fig,8).

 

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