Bibliocronometria della Casa detta di Raffaello a Villa Borghese alla scala della cartografia storica

Bibliocronometria della Casa detta di Raffaello a Villa Borghese alla scala della cartografia storica

L’edificio fu detto Villa Olgiati poi Doria (fig.1) dallo storico della città di Roma Mariano Vasi, che nel 1791 ne descrisse gli affreschi nella convinzione che fosse stata la casa di Raffaello: a suo dire, perciò, era stato edificato ancora prima del Sacco di Roma del 1527. Nei secoli fu restaurato e ridimensionato a più riprese e l’intervento più consistente, con ogni probabilità, dovette essere successivo ai moti del 1848 (Lancellotti 1862; Spada 1869). Almeno a considerare da quando, alla fine del Cinquecento, il terreno circostante la Casa era stato acquistato dal Cardinale Scipione Caffarelli Borghese e, a partire dal 1606, era divenuto limitrofo alla nuova Villa da lui fatta costruire a Porta Pinciana, che alla metà del Seicento avrà  avuto almeno tre recinti di parco. A quella data, come la stessa Villa Borghese e il Casino detto Giustiniani nel medesimo circuito verso la via Flaminia, dove si estendeva la tenuta Borghese della via Traversa, fu in parte sventrato durante l’assedio dei francesi a Porta Pinciana. L'assenza di rovine nell'area farebbe ritenere che anche questo Casino venisse poi restaurato, al pari della villa grande e di pochi altri edifici gravemente danneggiati nella circostanza, e che lo fosse a sua volta ad opera di Luigi Canina. Non minore rilievo ebbe l'apertura nel Novecento della loggia coperta al secondo piano - al piano inferiore esistente nel 1700 (Domenico Montelatici, 1700) fino al 1848 - documentata dalla fotografia storica. Acquisito dal Regno d'Italia nel 1861, solo nel 1909 il fidecommisso ereditario passò allo Stato italiano, divenendo bene pubblico.

emil ludwing incisioneFig. 2 - Emil Ludwig Grimm, 'Villa Raphael', incisione (Bibliotheca Hertziana, Roma)

Nel 1816 Emil Ludwig Grimm, uno dei fratelli Grimm, incise con il nome di ‘Villa Raphael’ il Casino (fig.2) che aveva una pianta a forma di L e una loggia al piano terreno, loggia che sarà stata eliminata nel consolidamento successivo ai danni delle cannonate garibaldine del 1848 ed il rivestimento nuovamente realizzato a bugnato liscio. La sopraelevazione della torretta ad opera di Antonio Asprucci risaliva presumibilmente a quando la villa era stata in possesso del cardinale Giuseppe Doria, che, sempre a dire di Mariano Vasi nel 1791, l'aveva fatta restaurare. Questo documento testimonia la pianta, anticamente cosiddetta a penisola, che aveva avuto nel Seicento e fino alla prima metà dell’Ottocento e non è l’unico a mostrarne l’avancorpo che venne abbattuto nel 1848. Gli interventi successivi la ripristinarono sempre a due piani, sviluppandola a parallelepipedo.

Johann Gottfried Abraham FrenzelFig. 3 - Johann Gottfried Abraham Frenzel, 'Raphael's Villa', incisione tratta da: Karl Forster, Rafael, Leipzig 1827

 

Sicile ArtaudFig.4 - 'Casin de Raphael à Rome', incisione tratta da: Sicile Artaud, Italie, Paris 1835

 

Non è solo la posizione dell’edificio sullo sfondo di Villa Medici e di S. Pietro a ricordare che il Casino (fig.3) sia quello situato a Porta Pinciana sulla Piazza di Siena: anche la preesistenza di affreschi staccati di rilevante interesse, descritti da Mariano Vasi, appartiene alla denominazione di Casa di Raffaello nella didascalia. Eppure ancora John Hunter, che nel 1991 ha dedicato un volume a Girolamo Siciolante da Sermoneta, attribuendoglieli, ha considerato il casino interamente distrutto. Nella cartografia storica appare non solo distinto dal Casino detto Censi Giustiniani, pure tuttora esistente, ma è anche lo stesso Casino con fontane che Domenico Montelatici nel 1700 aveva definito ‘ab antiquo’ del Portiere e che Auguste Dominique Ingres nel tondo del Musée des Arts Decoratifs a Parigi avrà dipinto da un'altra prospettiva nel 1807, consistito com'era di fronte al Casino dell'Orologio. Anche Sicile Artaud nel 1835 fece incidere nell'Italie, con rilievo originale, il Casino fuori di Porta del Popolo (fig.4), attribuendogli la denominazione di Casa di Raffaello, che nel Rinascimento era invece un edificio che si trova sul versante diagonalmente opposto dell'orografia sulle sponde del Tevere, situato oltre il Gianicolo.

Georg Heinrich BusseFig. 5 - Georg Heinrich Busse, Casino detto di Raffaello, incisione

 

In questa incisione di Georg Heinrich Busse del prospetto (fig.5) s’intravvedono sempre, sulla sinistra dell’edificio, Villa Medici e, sulla destra, S. Pietro. Alle sue spalle era la Tenuta Borghese dell’Incoronata che dalla Via del Fosso dell’Acqua Traversa giungeva ai terreni del Capitolo di Santo Spirito, oltrepassando il Tevere fuori Porta Angelica.

 

Rudolf WiegmannFig. 6 - Rudolf Wiegmann, Casina detta di Raffaello, acquarello (August Kestner Museum, Hannover)

Anche Rudolf Wiegmann realizzerà un acquarello (August Kestner Museum, Hannover) del Casino detto di Raffaello (fig.6), molto vicino all’incisione di Grimm che allargava l’arcata centrale del portico, testimoniando l’enorme fama raggiunta dalla sua architettura nel parco di Villa Borghese nel primo Romanticismo e tra i pittori Nazareni, per la presenza nell’edificio di affreschi del Cinquecento, ancora in loco a quel tempo, che le incisioni del volumetto Rafael di Karl Forster, del 1827, avevano ovunque diffuso. Erano stati riscoperti autenticamente esemplari dello stile ricercato della poetica di naturalezza e verità dal gruppo di pittori. Jacob David Passavant pubblicherà nel 1839 il libro Rafael von Urbino und sein vater Giovanni Santi, in cui (e di nuovo nell'edizione del 1858) darà una dettagliata descrizione dell’affresco di Alessandro e Rossane (fig.7, 8), ormai staccato, e, con altri nella stessa sala, trasferito alla Galleria Borghese, riferendolo copia da Raffaello e probabilmente opera di Perin del Vaga.

 

Stefano MorelliFig.7 - Stanislao Morelli, Le Nozze di Alessandro e Rossane, incisione tratta da Giovanni Antonio Guattani, La Pittura comparata, Roma 1816, Tv. LXI

 

Nel 1816 Giovanni Antonio Guattani nella Pittura comparata pubblicò un’incisione in controparte di Stanislao Morelli delle Nozze di Alessandro e Rossane (fig.7), affresco ancora in loco nella sala del Casino Olgiati, “situato poco fuori le mura, fra la Villa Borghese e la Porta Pinciana oggi chiusa”, precisazione della sua posizione che consente ancora di identificarlo con l’attuale Casina detta di Raffaello, anche se in gran parte rifatta dopo lo sventramento del 1848. Nell’incisione in basso a sinistra: ‘Raffaelle dip.[inxit]’, che valse il nome di Casa di Raffaello alla Villa già Olgiati poi di Vincenzo Nelli, come ribadito da Carlo Fea  nel 1824, ma che nel corso di tre secoli ebbe anche altri possessori e fittavoli della vasta tenuta dei Borghese tra la Via Flaminia, il Muro Torto e la Porta Pinciana. Il lotto variamente menzionato nei documenti e nelle fonti cartografiche e archivistiche, in particolare fu detto Villa Olgiati nella Pianta e alzata di Roma del 1748 di Giovan Battista Nolli, dove appare perimetrato di fronte al Casino dell’Orologio e limitrofo al Giardino Borghese propriamente detto.

AlessandroFig. 8 - Alessandro e Rossane, affresco staccato dalla parete di una sala della Villa detta di Raffaello già Olgiati (Galleria Borghese, Roma, deposito)

L'affresco in ovale di Alessandro e Rossane (fig.8), oggi attribuito a Girolamo Siciolante da Sermoneta, si trova nella Galleria Borghese (deposito) dalla data di distacco e trasporto degli affreschi da una sala della villa detta Olgiati ad opera di Pellegrino Succi (1836) per volere di Camillo Borghese e dei suoi successori. Alessandro prende in sposa Rossane, la figlia del re avversario Ossiarte di Battriana, episodio tratto dal Dialogo di Luciano di Samosata 'Herodotus sive Aëtion' (4-6), che narrava del dipinto dello stesso argomento del pittore greco Ezione.

Giovanni VolpatoFig. 9 - Giovanni Volpato, 'Alexandri et Roxane Nuptiae', incisione firmata e datata 1773

L’incisione di Giovanni Volpato dell'affresco di Alessandro e Rossane (fig.9), tratta dalla Schola Italica Picturae di Gavin Hamilton del 1773 (Tav. 20) documentava in loco l'affresco: ‘Exstat Romae in Aedibus suburbani Marchionis Olgiati’, fra la Villa Borghese e la Porta Pinciana. Hamilton dipingerà per Marcantonio Borghese, tra il 1782 e il 1784, la Stanza di Elena e Paride della Villa Borghese, anche questa serie neoclassica probabilmente ispirata agli affreschi della villa presunta casa di Raffaello. Nei primi anni del decennio successivo Felice Giani avrà affrescato la cappella di S. Maria Immacolata annessa alla Casina detta di Raffaello.

Raffaello Sanzio incisioneFig. 10 - Raffaello Sanzio, Alessandro e Rossane, sanguigna (Graphische Sammlungen, Biblioteca Albertina, Vienna)

Questo disegno a gesso rosso (fig.10) è identificato con quello di sua proprietà che Ludovico Dolce fa descrivere a Pietro Aretino nel Dialogo sulla pittura (1557) e che Raffaello ideò per la Villa Farnesina, dove fu eseguito con molte differenze da Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma: alla metà del Settecento si trovava a Parigi, passato alla collezione di Pierre Jean Mariette da quella di Pierre Crozat, dov'era stato inciso da Nicolas Le Soeur e da Charles Nicolas Cochin nel Recueil Crozat. E’ per la presenza di questo straordinario soggetto di recupero archeologico raffaellesco che alla fine del Settecento la villa assunse il nome di Casa di Raffaello, indipendentemente dai diversi possidenti, compreso il banchiere del principe Borghese, marchese Olgiati, che vi si stabilirono.

Con l’Alessandro e Rossane venne staccato anche l’affresco di Vertumno e Pomona (fig.11) nella volta della Sala, analogamente oggi attribuito a Siciolante e di recente collocato nell’ambiente del bar della Galleria Borghese: Vertumno si disvela uomo a Pomona, raggirata con l’inganno del travestimento da vecchio, che era stato narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.

Vertumno e PomonaFig.11 - Vertumno e Pomona, affresco staccato dalla volta di una sala della Villa detta di Raffaello già Olgiati (Galleria Borghese, Roma)

Un altro ovato staccato della Galleria Borghese, attribuito ancora a Siciolante da Sermoneta, faceva parte della decorazione a grottesche della sala della cosiddetta Casa di Raffaello, soggetto che, sebbene chiamato da Mariano Vasi e da Carlo Fea Il Bersaglio, Giovan Battista Cavalcaselle, nel volume dedicato a Raffaello del 1891, denominerà Gli Arcieri (fig.12): Apollo e Diana, Saettatori nella giostra del contrasto d’amore, dalla Teogonia di Esiodo, erano ancora un tema con la tecnica della ripresa archeologica, ma questa volta da un disegno di Michelangelo.

gli arcieriFig.12 - Gli Arcieri, affresco staccato da una parete di una sala della Villa detta di Raffaello già Olgiati (Galleria Borghese, Roma)

Il disegno a matita rossa (fig.13), secondo il racconto di Giorgio Vasari fra quelli sottratti ad Antonio Mini da Nanni di Baccio Bigio e poi restituiti, fu donato dal maestro a Tommaso de’ Cavalieri (Claudio Castelletti 2020) e fu acquistato dai Farnese: da quest’ultima raccolta è pervenuto alle collezioni reali londinesi. Come sottolineato già nel 1928 da Erwin Panofsky, la mancanza degli archi nel bozzetto, denotando, piuttosto che un non-finito, la potenza dell’impulso ribelle dei Saettatori attratti dall’idolo, era stata intenzionalmente voluta da Michelangelo.

michelangelo sanguignaFig. 13 - Michelangelo Buonarroti, Saettatori, sanguigna (Royal Collection, Royal Library, Windsor Castle)

La ripresa dello slancio vitale dei Saettatori nel moto trattenuto del gruppo di Angeli volteggianti con la corona di spine nel Giudizio Sistino (fig.14) avvicina il bozzetto della Royal Collection (fig.13) alla fase preparatoria della parete sistina avviata nel 1536, in cui era a Roma, attivo all’Oratorio di San Giovanni Decollato, Jacopino del Conte.

particolare giudizioFig. 14 - Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, affresco, particolare degli Angeli con il simbolo della corona di spine (Cappella Sistina)

Era stato Giulio Clovio a dire che il disegno degli Arcieri fosse dovuto a Michelangelo nella stampa edita da Antoine Lafréry (fig.15), oggi sempre attribuita a Nicolas Béatrizet: sul retro del disegno di Windsor la nota manoscritta 'D. Giulio Clovio copia di/ Michiel Angelo' non smentisce che Clovio fosse stato il primo ad inciderlo accademicamente. Clovio, a Roma quando venne eseguito, era a sua volta nell'alveo della committenza Farnese.

Giulio ClovioFig. 15 - Giulio Clovio, Il Sagittario, incisione per i tipi di Antoine Lafréry, nell'angolo in basso a sinistra segnata: 'MICH. ANG. BONAROTI INV.' (British Museum; altro esemplare: Metropolitan Museum of Art, New York)

Giovan Battista Cavalcaselle nel 1891 parlò di un altro affresco, già staccato nel 1824, poiché Carlo Fea non ne fece parola con gli altri nel gabinetto della villa “Olgiati ora Nelli”, e che pure fu trasportato su tela (fig.16), ma per essere venduto all’Hermitage nel 1861 dal marchese Giampietro Campana. Le sue dimensioni fanno ancora dubitare che fosse appartenuto piuttosto ad affreschi staccati dalla Loggia Palatina Stati Mattei, rispecchiando il dipinto un forte debito compositivo con gli Arazzi di Raffaello: tuttavia la sottile trama della natura umana facile bersaglio dell’inganno di un dio, anche se non vi si vedono capriole di genietti, fa di questo Elena e Paride (fig.16) un soggetto coerente con gli altri accertati nella Sala del Casino detto di Raffaello. Ancor più se suscitato da un primo avvistamento, forse in loco, di pezzi della statuaria romana, e, nonostante lo scurimento dovuto ad un minore apporto di biacca rispetto agli altri distacchi del restauro ottocentesco, accostato nel contesto proprio a Giulio Romano. Ha meno in comune con le cadenzate teorie mitologiche peruzziane dei lacerti Campana pervenuti al Metropolitan Museum of Art di New York nel secolo scorso, ad eccezione dei Tondi Zodiacali del medesimo lotto (Gwynne Andrews Fund, 1947), che dovevano aver fatto parte anche loro dell'ornato a grottesche della volta della Sala di Alessandro e Rossane (fig.8). La patina brunita consente il confronto ai toni metallici della Pietà Massimo di Palazzo Barberini (Gallerie Barberni Corsini, Roma).

Elena e ParideFig. 16 - Elena e Paride, affresco staccato dalla volta di una sala della Villa detta di Raffaello già Olgiati (Hermitage Museum, San Pietroburgo)

Lascia infatti supporre che con il Vertumno e Pomona (fig.11) ne avesse decorato il soffitto, armonizzato da tondi e riquadri, come sostenuto da Mariano Vasi e da altri autori successivi, mentre gli ovali erano altrettanto disposti tra tondi sulle pareti a simulare tecnologicamente una rovina imperiale, al pari delle antichità vicine delle Mura e dell'acquedotto. Gavin Hamilton dipinse la serie di Paride e Elena nella Sala omonima di Villa Borghese nel 1783, sull'ondata di neoclassicismo, prima che il casino, denominato Olgiati fino alla realizzazione della Piazza di Siena, fosse restaurato dal cardinale Giuseppe Doria, che lo detenne a cavallo tra i due secoli. 

L’incisione di Frenzel (fig.17) del 1827 della parete con Gli Arcieri rende l’idea della decorazione dell’intera sala sul modello della Domus Aurea; sul lunettone della parete opposta l’ovato con Alessandro e Rossane (fig.8) osservatovi da Vasi, inciso da Volpato nel 1773 (fig.9) e nell’incisione del volume di Guattani nel 1816 (fig.7): oltre ai tondi con ritratti di dame, Adolfo Venturi vi riconobbe al centro della parete il dipinto della Diana Efesina Albani a braccia alzate (fig.17) già entrata nei Musei Capitolini. Gli affreschi erano situati in una Sala probabilmente al primo piano e la loro disposizione era la seguente: nel soffitto della volta a padiglione i riquadri di Vertumno e Pomona (fig.11) e (ipotesi ottocentesca) di Elena e Paride (fig.16) e sulle altre due pareti corte grottesche inframmezzate da due scorci di finte finestre, ‘istrafori’ sul panorama del Casino dell’Orologio (con una torretta: l’orologio sarà innalzato nel 1807) e del parco della villa con un collinetta architettata a spirale. Le incisioni delle quattro pareti e dell’affresco di Vertumno e Pomona di Francesco Saverio Gonzales, acquarellate a mano, che si trovano alla Royal Library di Windsor Castle a Londra (Royal Collection Trust) sono state ritrovate da Sandro Santolini, curatore storico dell'arte della Sovrintendenza del Comune di Roma.

Johann Gottlieb Abraham FrenzelFig. 17 - Johann Gottlieb Abraham Frenzel, parete con Gli Arcieri da una sala del Casino detto di Raffaello, incisione tratta da: Karl Forster, Rafael, Leipzig 1827

Corredato dal distico ‘Fuggì gra’ tempo la casta Pomona, Di fiori et frutti… vasi condutti’, verso che orecchia un sonetto di Vittoria Colonna, questo bulino (fig.18) per i tipi di Claude Duchet sul piedistallo reca il monogramma: ‘I. F. Fiorétin orefi f.[ecit]’ MDXLII [1542], ‘Iacopo Fiorentino orefice fecit’ che, se correttamente sciolta l’abbreviazione (Della Pergola 1955, p.131; Hunter 1996, p.139), alluderebbe all’invenzione dell’affresco di Jacopino Del Conte, allievo di Andrea Del Sarto e tra i primi artefici dell’intaglio a bulino, non solo nella cerchia michelangiolesca. La data del 1542 documenta che l’edificio era stato eretto e gli affreschi portati a termine.

Jacopino del ConteFig. 18 - Jacopino del Conte (?), Vertumno e Pomona, bulino (Accademia dei Lincei; altro esemplare nel Fondo Pio, Antonio Salamanca exc. [udit], 1542)

Una data precoce il 1542, in cui Pietro Bonaccorsi detto Perin del Vaga, al quale gli affreschi erano stati attribuiti da Passavant, era già attivo ad un altro cantiere di Paolo III Farnese nella Loggia di Castel S. Angelo. Dove, nella Sala della Biblioteca (fig.19), fece realizzare a Raffaello da Montelupo gli stucchi e a Girolamo Siciolante da Sermoneta i riquadri con Storie di Roma tra le grottesche (Hunter 1996), com’era detto nella Vita di Perino del Vaga di Giorgio Vasari (G. Vasari, Le Vite, Firenze 1568, Vol.I, III P., p.368). A colpo d’occhio in questa sala Siciolante (fig.19) dispiega quegli elementi stilistici che, nell’ambito del manierismo romano, più approssimano gli affreschi staccati della Galleria Borghese, che l’incisione di Vertumno e Pomona (fig.18) precisa, però, di Jacopino del Conte.

Perin del VagaFig.19 - Perin del Vaga, Sala della Biblioteca (Appartamento di Tiberio Crispo, Castel S.Angelo)

I disegni di Nanni di Baccio Bigio, cognato di Jacopino Del Conte, del piano terreno di una villa suburbana, appena fuori Porta del Popolo (fig.20), sono agli Uffizi e avvalorano la memoria vasariana secondo la quale Giulio Romano nel 1541 si fosse accordato con Paolo III Farnese per tornare a Roma a dirigere la Fabbrica di S. Pietro, partecipe dei suoi progetti: in suo possesso doveva essere il disegno di Raffaello (fig.10) ripreso nell’affresco di Alessandro e Rossane (fig.8) da Jacopino, che poteva già averlo copiato a Mantova, instradandolo Giulio stesso al cantiere di Villa Lante, dove approdò a Roma nel 1532 e vi eseguì i tondi di ritratti maschili e otto femminili (fig.21) della seconda e terza stanza, che, a dire di Giovanni Baglione, parafrasando Vasari, lo resero celebre (ora incertamente attribuiti a Vincenzo Tamagni dalla relativa scheda ICCD). Li ripetè, specchiati, nella Casa detta di Raffaello a Villa Borghese (fig.1, 2 e segg.), a quel tempo casino di guardia alla Porta Pinciana, nel tratto delle Mure Aureliane che, a partire dalla Porta Flaminia, Nanni di Baccio Bigio restaurava e per le quali è ancora incerto ne avesse edificato più di uno.

nanni di baccioFig. 20 - Nanni di Baccio Bigio, Pianta di una Villa suburbana a Porta del Popolo, disegno (Gabinetto dei disegni e delle stampe, Uffizi)

Questi affreschi (fig.21), copiati dalla Fornarina e dalla Velata di Raffaello, nella seconda e terza stanza al piano nobile della Villa Lante, eretta per sé da Baldassarre Turini vescovo di Pescia e datario pontificio, coperti nel 1838 perché ritenuti sconvenienti, furono riscoperti nel restauro del 1973-1975. Nessuna relazione è stata più avanzata con il rilievo di Frenzel (fig.17) del 1827 degli analoghi tondi della Casa detta di Raffaello a Villa Borghese, che rivelavano un solo maestro per la tecnica della ripresa archeologica e alla maniera delle Madonne di Andrea Del Sarto nella decorazione a grottesche delle due ville. La tecnica da profilo ‘numismatico’ dei busti dei medaglioni focalizzava l’impresa dell’orefice fiorentino Jacopino Del Conte, per conto di Giulio Romano e al fianco di Nanni di Baccio Bigio nel decennio 1532-1542.

ritratto di damaFig.21a e b - Jacopino del Conte attr., Ritratti di dame (Villa Lante al Gianicolo, Roma)Jacopino del Conte

Gli otto ritratti femminili di Villa Lante, detti delle modelle di Raffaello, saranno stati incisi da Auguste Boucher Desnoyers (fig.22) nel Recueil d’estampes gravées d’après des peintures antiques italiennes (Pl. V-XII, incisori: Jadin Louis Godefroy e Eugène Pierre Aubert) nel 1821, quando anche la decorazione dell’altra villa era visibile in loco e sarà pubblicata da Forster nel 1827. Questi due tondi (fig.21), ora recuperati nei soffitti di Villa Lante, e attribuiti di recente a Francesco Penni (Parlato 2001), sono chiaramente ispirati alla Fornarina e alla Velata di Raffaello, che Jacopino doveva conoscere e che, all’apice della fortuna, ripetè in posizione analoga nel casino di Villa Borghese (fig.17), che ne fu detto, perciò, di Raffaello. Abilità di Jacopino del Conte nel ritratto rinomata e sottolineata da Giovanni Baglione: se non realizzati per Francesco Del Nero, i medaglioni numismatici di Francesco Zucchi nell'atrio del Casino Del Monte a Porta Pinciana furono ancora imitati dai suoi.

Auguste Boucher Desnoyers tondo ritratto

Fig.22 - Auguste Boucher Desnoyers, Tondi con ritratti femminili di Villa Lante, incisioni tratte da: Recueil, Paris 1821

La miniatura ad olio su carta su tela di Copenaghen ed il cartone in controparte dell’incisione di Gian Giacomo Caraglio (fig.23 a, b, c), tratta dalla serie degli Amori degli dèi, tradizionalmente riferita a Perin del Vaga, documentano un soggetto di Vertumno e Pomona differente da quello rivendicato da Jacopino. Nell’amplesso con Pomona, Vertumno, ormai nudo, ma barbato e avanzato nell’età, appare nell’iconografia da una scultura romana priapica (fig.24 a, b, c), probabilmente già avvistata nel Cinquecento, che non da oggi si trova nei Musei Vaticani.

 perin del vaga 3 perin del vaga 2  perin del vaga controparte 
 Fig. 23 a - Perin del Vaga, copia da, Vertumno e Pomona, olio su carta su tela (Statens Museum for Kunst, Copenaghen);  b) cartone incisorio in controparte (British Museum)  c) Gian Giacomo Caraglio, incisione da da Perin del Vaga 

 

La scultura romana di Vertumno (fig. 24 a) barbato, con gli attributi priapici ed i coturni sotto il travestimento di un peplo e l’offerta di frutti a Pomona, fu incisa nelle due successive edizioni del Museo Pio Clementino dei Visconti (1818, tv.50), annotandone il ritrovamento nello scavo di Castronovo nei pressi di Civitavecchia nel 1774, da dove venne trasferita nel 1824 nei Musei Vaticani (ASR), ed il dettaglio dei calzari: non del tutto diverso era il repertorio romano dell'imagerie di Jacopino nel casino di Villa Borghese (fig.11, 18), che aveva attinto, nella bottega di Andrea Del Sarto, all’affresco di Jacopo Pontormo (fig.25) della Villa Medici di Poggio a Cajano.

Priapo

Fig.24a - Statua romana di Priapo (Cortile ottagono del Museo Pio Clementino, Musei Vaticani)

incisionde priapoquirino viscoti

Fig. 24b e c, incisioni del dio travestito tratte dal Museo Pio Clementino di Giambattista ed Ennio Quirino Visconti

Pontormo nel lunettone del salone della Villa di Poggio a Caiano aveva raffigurato il mutevole Vertumno con Pomona (fig. 25) dalle Georgiche di Virgilio nei differenti aspetti delle quattro stagioni, allietati dai quattro putti, che rappresentavano la Primavera. Vertumno è giovane e nudo nell’Estate, con il cane e la bisaccia in Autunno (Apollo Liceo), è il vecchio Priapo che serba i frutti nel canestro in Inverno, specchiato dalle attitudini agresti e venatorie di Pomona, quale Cerere e Diana nell’altro spicchio. Non senza alludere al travestimento e all’inganno alla ninfa del mutevole dio, che sarà rappresentato anche da Jacopino (fig.11) nell’affresco staccato dal Casino detto di Raffaello nel Museo di Villa Borghese, omaggio a tutti gli dèi dei campi.

pontormoFig. 25 - Jacopo Carucci detto il Pontormo, Vertumno e Pomona, affresco del lunettone della volta del Salone (Villa Medici di Poggio a Caiano, Prato)

È noto che Nanni di Baccio Bigio lavorasse alla Porta del Popolo, incerto che il Casino suburbano della dataria da lui progettato al di fuori del tratto di  Mura, nel quinto decennio del Cinquecento, fosse questo alla Porta Pinciana. Nel 1537 Jacopino Del Conte dipingeva l’affresco dell’Annuncio a Zaccaria (fig.26) nell’Oratorio di S. Giovanni Decollato, all’angolo tra via di S. Giovanni Decollato e via della Misericordia. In questa scena è dipinto un progetto di cupola paragonabile a quella della chiesa di S. Maria di Loreto, alle spalle di un consesso di personaggi tra i quali, dando corpo alla sua fama storiografica di ritrattista, si ravvisa, se non Michelangelo Buonarroti, Antonio da Sangallo, che Jacopino ritrarrà ancora in ovato nel 1542 (fig.27 a, b), avendo conosciuto entrambi a Firenze e fin da quando dipinse, in S. Pietro, con Leonardo Grazia da Pistoia e Siciolante, la Pala dei Palafranieri con la Madonna, il Bambino e Sant’Anna fra i SS. Pietro e Paolo (Federico Zeri 1951).

jacopino del conte annuncio a zaccariaFig. 26 - Jacopino del Conte, Annuncio della paternità a Zaccaria (Oratorio di S. Giovanni Decollato, Roma)

In questo particolare del ritratto di Jacopino di Antonio da Sangallo nell’Annuncio a Zaccaria (fig.27 a) dell’Oratorio di S. Giovanni Decollato (il volto a destra nel dettaglio) ha risalto quella che Zeri definì una “...saga dell’enfasi, miscela di michelangiolismo e raffaellismo nel pieno del Cinquecento romano” nell’episodio del Vangelo di Luca: forse anche uno dei due ritratti di Michelangelo che Jacopino gli fece (il volto a sinistra nello stesso dettaglio), a dire di Vasari. Tanto più se uno scanzonato Vasari è riconoscibile nel giovane riccioluto con una fascia tra i capelli, seduto sui gradini del tempio (fig.26), che Jacopino ritrasse poco prima di diventare membro dell’Accademia romana di S. Luca.

jacopino annucio della paternitàFig. 27a - Jacopino del Conte, Annucio della paternità a Zaccaria, particolare dell'affresco (Oratorio di San Giovanni Decollato, Roma)

antonio da sangalloFig. 27b - idem, Ritratto di Antonio da Sangallo (Pinacoteca di Brera, Milano)

La sintesi di levità e gravità di Jacopino, appresa sia da Giulio Romano che da Michelangelo, tanto negli abiti quanto nelle nudità, ha risalto nel passo cadenzato dell’offerente del Vertumno e Pomona (fig.28 c) della Galleria Borghese, che oscilla dalla Tersicore (fig.28 a) della Loggia di Psiche nella volta di Villa Farnesina all’Abra (fig.28 b) con la testa di Oloferne della volta sistina, che cede al peso della testa, in cui era stato Michelangelo stesso ad aver dipinto il proprio autoritratto, analogamente a quanto farà nella pelle di S. Bartolomeo nel Giudizio Universale. Come in Giulio Romano, sopra il chitone l’ancella veste una clamide, ma con le bretelle di una volgare popolana nell’affresco di Jacopino (fig.28 c).

 Giulio Romano  dettaglio michelangelo dettaglio jacopino conte v 
 Fig. 28a - Giulio Romano, Loggia di Psiche, particolare dell'affresco della volta (Villa Farnesina, Roma)  Fig. 28b - Michelangelo Buonarroti, Giuditta e Oloferne, particolare con Abra dell'affresco di un pennacchio (Cappella Sistina)  Fig. 28c - Jacopino del Conte, Vertumno e Pomona, particolare dell'offerente dell'affresco della volta di una sala della Villa detta di Raffaello già Olgiati (Galleria Borghese, Roma )

Non c’é alcuna evidenza che Jacopino Del Conte, attingendo direttamente al mito agreste dalle Metamorfosi di Ovidio e da Virgilio, conoscesse queste due sculture di Vertumno con l’offerta di frutti a Pomona (fig.29 a, b) nel 1542. Nella seconda - in un'incisione - è addirittura fanciullo e ha nelle braccia i frutti e una cornucopia ed in testa un berretto di pastore frigio. La prima delle quali, in cui il dio è vestito (fig.29 a), reintegrata da una testa di vecchio (anche questa oggi perduta) (fig.31 c) probabilmente ad opera di Guillaume Cortois, Manilli avrà descritto nel giardino di Villa Borghese nel 1650. Jacopino nemmeno doveva conoscere la scultura di Priapo del Museo Garimberti, in coppia con una Pomona, che Giovan Battista Cavalieri darà alle stampe nel 1585, come è certo le conoscessero Pietro e Gianlorenzo Bernini, quando eseguirono le due sculture di Vertumno barbato e di Pomona (fig.31 a, b) una volta all’ingresso del giardino Borghese e che, entrambe portatrici di frutti ed oggi al Met di New York, erano state sostituite all'esterno da due erme (fig.29 c, d) di Bergognone stesso e Giacinto Gemignani (Sebastiani, 1683), in loco.

 statua vertumno  vertumno incisione erme vertumno  erme pomona
 Fig. 29a - Statua romana di Vertumno, marmo, II sec. d.C. (Museo Pietro Canonica, Roma)  b - Pietro Santi Bartoli, Statua in bronzo di Vertumno fanciullo, incisione  c - Guillaume Courtois detto il Bergognone e Giacinto Gimignani, Erme di Vertumno e Pomona, (Villa Borghese, Roma)

 

Nella pianta di Roma di Etienne Dupérac del 1577 il casino ha evidenza nei pressi di Porta Pinciana e degli archi dell’acquedotto rilevato da Lafréry nello Speculum del 1557 (fig.30): il che non contraddice certo l’affermazione di Filippo Titi, nel secolo seguente, che fosse stato acquistato a Marco Sittico Altemps dal cardinale Scipione Borghese per edificarvi la propria villa. Secondo Titi, Sittico aveva quindi aggiunto anche questo terreno al suo immenso patrimonio a Roma e dintorni. L’edificio, anche per Giacomo Manilli nella Villa Borghese fuori di Porta Pinciana (p.126) del 1650, sarà stato la “Casa degli Uffizij, posta in penisola”, con pianta a forma di L. Il ‘Palazzino con fontane verso muro torto’ al numero 20 nella Pianta di Villa Borghese (1666) di Simone Felice Delino, non perderà la funzione di Casa degli Ufficiali della dataria con le sue rimesse (Sebastiani 1683) nel perimetro dei giardini della Villa Borghese fino al Settecento, nel 1644 già realizzati da Domenico Savino da Montepulciano (Martinelli 1644), abitandovi (Pianta della Villa' Borghesia' di Mattheus Greuter, 1623). Dalla squadra di Giovanni Vasanzio erano state edificate le Scuderie porticate, situate invece all’ingresso principale di fianco alla Villa Borghese.

etienne duperacFig. 30 - Etienne Dupérac, Pianta di Roma, 1577, dettaglio del lotto di terreno di fronte a Porta Pinciana

Anche Vertumno, cosiddetto il 'Servo vecchio' (figg. 29 a, 31 c), era con una scultura femminile di Pomona (fig.31 d, e) nel giardino di Villa Borghese: come tale, senza identificarla, la descrissero, accoppiata, Domenico Montelatici (Roma 1700) e, isolata nella villa, Luigi Canina nei Monumenti scelti della Villa Borghese di Antonio Nibby (Roma 1832), definendola una Cerere in marmo bigio, ma lucente come il marmo bianco e corrispondente alla cosiddetta copia di Agrippina, più volte resa mutila, ora nel Museo della Centrale Montemartini (fig.31 e). L’originale della testa velata, trafugata nell’Ottocento, da Palazzo Borghese dove, restaurata da Vincenzo Pacetti, fu disegnata da Augustin Théophile Quantinet nel 1822 - disegno ritrovato e pubblicato da Alessandro Cremona, curatore storico dell'arte della Sovritendenza Capitolina - si trova alla NY Carlsberg Glyptothek di Copenaghen (S. Francucci, La Galleria dell’Ill.mo e Rev. mo Borghese, c. 27, ‘la Pomifera Dea’). La copia in marmo bianco di un'altra Cerere non velata, ugualmente mutila, si trova nel Museo Pietro Canonica di Villa Borghese. E’ dubbio che la scultura (fig.31 e) fosse stata rinvenuta quando Jacopino ne atteggiò la velata serpentina nel nudo della dea Pomona dell'affresco staccato a Villa Borghese (fig.11), anche a paragone della Venere seminuda della fontana rotonda della Villa Borghese.

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  Fig. 31a e b - Pietro e Gianlorenzo Bernini, Vertumno e Pomona (Metropolitan Museum of Art, New York)  c - Statua romana di Vertumno, già reintegrata di una testa di filosofo (Museo Pietro Canonica, Roma)  d - Statua romana cosiddetta di Cerere da Villa Borghese, incisione tratta da Antonio Nibby, Monumenti scelti della Villa Borghese, Roma 1832  e - Statua romana cosiddetta di Agrippina in marmo bigio (Centrale Montemartini, Roma)

 

Scipione Francucci nel 1613 avrà descritto la scultura di Vertumno (fig.29 a, 31 c, 32 a) come di una Baccante con l’uva in grembo, un fatto che la vorrebbe acefala a quella data. Non sorprende che Caravaggio, al suo esordio romano, avvistandola forse al Ninfeo di Egeria sull’Appia Antica, nei pressi del Casale detto della Vacchereccia del cardinale Scipione Caffarelli Borghese, ne traesse un ritratto a mezzo busto di giovane Vertumno nel Ragazzo con canestro di frutta (fig.32 b) nell'inventario del sequestro fiscale nella bottega del Cavalier Giuseppe Cesari d'Arpino del 1607. Il  Fruttaiolo (fruttaiuolo, fruttivendolo) e, in romanesco, Fruttarolo (Galleria Borghese) piacque al Borghese e solo negli anni duemila ha trovato identificazione nel dio pagano Vertumno (Marini 2005), se non sciolto dal significato polisemico e più demagogico della scena bacchica di genere o dei seguaci Bamboccianti che venne affabulato dalla critica del Novecento: qualcosa doveva al ritrattismo di Villa Lante e agli affreschi di vigore michelangiolesco e colore raffaellesco, tra le grottesche, di Jacopino del Conte nel Casino detto di Raffaello a piazza di Siena, tanto da guadagnare altrettanto al suo autore fama di ritrattista e di pittore di teste o 'capocce' romane. 

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 Fig.32a - Statua romana di Vertumno (Museo Pietro Canonica, Roma);  b) Michelangelo Merisi da Caravaggio, Ragazzo con canestro di frutta o Fruttarolo (Galleria Borghese, Roma; Foto ICCD, 1955

 

*Testo della Conferenza tenuta dall'autrice al Technology4All 2023 presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

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