Vero come Tiziano

Vero come Tiziano

Il culto della personalità nel Rinascimento

Nella Scuola d’Atene di Giorgione (Kunsthistorisches, Vienna), commissionata da Taddeo Contarini, il filosofo a destra ha in mano un cartiglio con i disegni del Sole e della Luna e sul margine superiore compare la scritta ‘celus’, che lo identifica con Aristotele, autore del De caelo. Il personaggio al centro, raffigura invece Plotino, che, nato a Licopoli in Egitto, e' vestito nella foggia orientale ed il terzo, dipinto giovane, che ha in mano una squadra, simbolo della geometria, è lo stesso Platone, che nel Timeo dettò le basi scientifiche della conoscenza dell’universo. Il che non toglie che i tre personaggi brillassero della luce fenomenica di un'Epifania nel sincretismo di una rappresentazione religiosa dei Magi.

Raffaello nella Scuola d’Atene delle Stanze Vaticane rappresentò Platone vecchio, ma con il Timeo sotto al braccio. Giorgione, invece del committente del dipinto, nei panni dei filosofi della Scuola d’Atene, ritrasse Pietro Bembo, Niccolò Copernico e Jacopo Sadoleto, personalità in vista anche a Venezia fra i colti del tempo, nello studio delle scienze di rappresentazione della Terra, che avevano coinvolto i Contarini stessi nelle esplorazioni geografiche della penisola.

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Fig. 2 - Cristofano dell’Altissimo, Francesco Gonzaga, marchese di Mantova (Uffizi, Firenze) (Foto ICCD)

Nella Scuola d’Atene anche Raffaello fra i filosofi ritrasse personaggi viventi quali adepti e neofiti della corrente neoplatonica e fra di essi il Duca d’Urbino Francesco Maria Della Rovere, nel giovane abbigliato in bianco che cammina alle spalle di Pitagora. Ed incluse nella ristretta cerchia delle promesse della Scuola il piccolo Federico Gonzaga, figlio di Isabella d’Este, la cui testolina riccioluta spunta dietro Averroe’, dipinta quando il bambino, per ottenere la liberazione di suo padre Francesco Gonzaga, prigioniero della Repubblica di Venezia, era diplomaticamente ostaggio del pontefice Medici, Leone X, nel 1509.

La testimonianza di Pietro Bembo della prigionia a Venezia, nella torricella del Palazzo Ducale, del condottiero della Serenissima, ed il ritratto di questi di Cristofano dell’Altissimo, che, ripreso dalla presentazione frontale della serie gioviana e noto anche a Giorgio Vasari, è conservato agli Uffizi (fig.2), documentano nei secoli la risonanza dell’avvenimento storico-biografico piu’ di quanto non abbia fatto lo stesso Raffaello. Nella circostanza della sua prigionia era stato Lorenzo Costa, pittore della corte, a ritrarre a Mantova la moglie Isabella d’Este e la figlia Eleonora ed il ritratto fu inviato a Venezia per consolarlo, nella lontananza forzata da casa, della sfortuna abbattutasi su di lui con un ricordo tangibile.

Il Duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere aveva contratto matrimonio, non solo per procura, con Eleonora, figlia primogenita di Isabella d’Este Gonzaga e, nell’anno precedente, si era recato a Mantova in incognito a baciare la sposa: l’incontro avvenne nella Camera del Sole, o dei Soli, di Castel S. Giorgio. Nell’occasione, Federico Cattaneo, nobiluomo mantovano, mostrò all’illustre genero di Isabella, in sua assenza, un ritratto su tela della marchesa (fig.1), staccato da una parete, dov’era stato appena appeso, prima che Francesco Maria ripartisse nuovamente da Mantova, diretto a Viterbo e a Roma. La testimonianza epistolare dell’Archivio mantovano, pubblicata nel 1898 da Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, induce a ritenere che un ritratto di Isabella di formato maneggevole, di effetto tale da essere esposto all’illustre parentado della corte urbinate in viaggio, si trovasse al castello di Mantova nell’agosto del 1508. Ma, qual era questa tela d’Isabella della collezione Gonzaga?

Due ritratti d'Isabella d'Este di Tiziano Vecellio

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Fig.3 - Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este (Kunsthistorisches, Vienna)

 

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Fig.4 - Pietro Paolo Rubens, Ritratto di Isabella d’Este (Kunsthistorisches, Vienna)            

    

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Fig.5 - Paris Bordone, Marta e Maddalena (Nàrodnì Galerie, Castello, Praga)

 

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Fig.6 - Bartel Beham, Marta e Maddalena (Kunstsammlungen & Museen, Augsburg)

A questa data non sarebbe documentato alcun contatto, neanche epistolare, di Tiziano con il marchesato mantovano, ma è documentato che, vivente Isabella, Vecellio avesse dipinto il quadro dal titolo di Dama alla toeletta o di Giovane donna allo specchio del Louvre (fig.1) e che questo dipinto fosse copiato da Paris Bordone (Nàrodnì Galerie, Museo del Castello, Praga) (fig.5), che al posto di Lazzaro, a fianco di Maria Maddalena, ne avra’ dipinto copie anche con Marta. Da quest’ultimo soggetto perfino Bartel Beham (Kunstsammlungen & Museen, Augsburg) (fig.6) avrà tratto una copia.

Il quadro del Louvre (fig.1) si sarà trovato ancora nella raccolta del ducato mantovano, quando l’intera collezione verra’ alienata nel 1627.

Sarà stato ammirato da Pietro Paolo Rubens, insieme all’altro ritratto tizianesco della marchesa (fig.3) (Kunsthistorisches, Vienna) della collezione Gonzaga, che ne avra’ accertato nel quarto decennio del Cinquecento il suo aspetto giovanile. Quest’ultimo viene impropriamente detto Ritratto d’Isabella in nero, anche se invece indossa un abito azzurro damascato in oro e fu denigrato dalla satira di Pietro Aretino per lo scarso realismo delle sembianze d’Isabella, che il poeta conobbe di persona, e che nel 1534-35, data di esecuzione del dipinto, in realtà, era ormai sessantenne. Anzi, in tutt’e due i vestiti, che la donna indossa nei due quadri, il colore stridente osato dal tonalismo di Tiziano e’ ora un bel verde, ora un azzurro, colori particolarmente efficaci per esaltare il biondo dorato voluto delle capigliature.

Da questi due ritratti di Tiziano d’Isabella, dipinti a distanza di quasi trent’anni l’uno dall’altro, Rubens a sua volta attinse in parte, su commissione dei Duchi di Mantova, la foggia e la fisionomia della dama, ormai deceduta, per il suo ritratto postumo d’Isabella d’Este in rosso alessandrino (fig.4) (Kunshistorisches, Vienna), pure esportato in Inghilterra, operando un secolo dopo una sintesi tra i due soggetti di Tiziano: la donna fu dipinta, quindi, sempre da giovane, anche quando il consorte era morto da tempo. Il quadro di Rubens, sebbene travisabile negli inventari con l’originale tardo di Tiziano (fig.3), altrettanto pervenuto da Londra nella raccolta di Leopoldo Guglielmo, sarà invece entrato a far parte della collezione parigina della contessa Charles de Vogué, bistrattato al punto tale da ravvisarvi solo la generica nomea, pertinente piuttosto i suoi prototipi, di Scuola di Tiziano, quasi perduta ormai la caratteristica di ritratto storico.

Santa Maria Maddalena una donna allo specchio

Venduto a Carlo I d’Inghilterra, la Donna allo specchio, o Marta e Lazzaro di Tiziano (fig.1), che fu elencato dal catalogo di Abraham Van der Doort, venne acquistato infine a Everhard Jabach dal Louvre (1671).

Fedelmente ispirato ai soggetti di Paris Bordone appare anche la Marta e Maddalena della Christ Church di Oxford (fig.7), ed il suo omologo di Detroit, che ne perpetuarono la sensibilità religiosa. Queste due tele sono perennemente oscillate a Caravaggio, sebbene stereotipate dall’iconografia rinascimentale di storia sacra e idiomatiche dell’immagine per antonomasia della donna nel Cinquecento.

Nell’uno e nell’altro dipinto d'identico soggetto rappresentarono la Santa Maria Maddalena nel Seicento italiano e non solo, anche se a decifrarne l’iconografia fu un critico d’arte del Novecento non certo social popolare quale era Roberto Longhi.

Attraverso il collezionismo di secoli l’effigie matura di Isabella, di fronte e di profilo, non potrebbe quindi dirsi colpita da ‘damnatio memoriae’, dato che la donna era giunta ad attrarre lo stesso Leonardo per le qualità fisionomiche, ma pochissimi furono i suoi ritratti dei quali venne fatto un uso decorativo domestico e seguirono la sorte della masserizia familiare nella successione dinastica come i due dipinti ricordati di Tiziano.

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Fig.7 - Da Caravaggio, Marta e Maddalena (Christ Church, Oxford)

Nel disegno, ad affresco, nella glittica, nel bronzo, nel marmo, su legno, su carta e perfino nella grafica, quindi nell’universalità delle tecniche artistiche, Isabella e’ nella storia del Rinascimento, ma i pittori di fama che notoriamente la dipinsero ‘di colore’, per dirla nel suo lessico familiare, furono tre: Lorenzo Costa, Tiziano e, nel secolo seguente, Rubens. Molto più spesso i suoi ritratti di Tiziano suggestionarono gli imitatori per l’idea del sottile sincretismo religioso che uno di essi almeno conteneva, accanto ai molti ritratti mitologici e allegorici da lui dipinti di suoi contemporanei, fino al dilagare nel Romanticismo dello spiccato gusto per l’introspezione psicologica, che ha incantato e imbavagliato nell’enigma dei ritratti dipinti in assenza d’Isabella perfino il Novecento: la marchesa non posava per i suoi artisti, prestava loro un cortese simulacro della propria riservata presenza, quasi fosse un antidoto alla concupiscenza e alla retorica della caducità della bellezza.

Attraverso i secoli, dal candore e non solo dalla spontaneità della giovane allo specchio, si sarà lasciato tentare anche Federico Fellini per il procace personaggio cinematografico di Silvia de La Dolce vita, interpretata da Anita Ekberg.

Non senza rilevare il fatto che i maestri a lui più vicini inevitabilmente lo copiassero nell’invenzione devozionale anche quando Tiziano era appena al suo esordio, la sua notorietà alla corte mantovana non era tale da mostrare un suo ritratto al Duca di Urbino di passaggio in casa Gonzaga, se non perché il soggetto della tela fosse la marchesa stessa. Il quadro della raccolta gonzaghesca che si trovava a Mantova nel 1508, quindi, come tutti gli altri era stato eseguito in assenza della donna, ma era, oltre che su tela, di taglio maneggevole. Doveva essere un dono alla moglie di Francesco Gonzaga, ancora condottiero della Serenissima, che compare accanto a lei nelle vesti del fratello di Maddalena, Lazzaro resuscitato (fig.1), nella forma della mitezza edificante della più autentica agiografia, esegesi dell'armonia familiare nei Vangeli. E’ indubbio che un tale ritratto era stato conservato in casa Gonzaga fino all’alienazione nel secolo seguente della collezione intera.

Devozione religiosa del committente Gonzaga, alla quale neanche Andrea Mantegna era venuto meno nel dipingerlo, nella tempera della Pala di Santa Maria della Vittoria (Louvre), al cospetto di una paradisiaca visione della Vergine, nell’armatura di S. Giorgio. La fisionomia di Francesco, che nel 1508 aveva quarant’anni, appare di tre quarti negli abiti civili di Lazzaro del Tiziano, che più di qualcosa doveva ancora alla sorridente seraficita’ del suo ritratto di Mantegna di otto anni prima, se vista a paragone e a dispetto della fiera grinta del capitano nel ritratto fiorentino dell’Altissimo (fig.2), che ne esalterà la fama di condottiero. Ma, d’altra parte, e’ risaputo che Isabella d’Este evitasse il frangente di farsi ritrarre dal pittore della corte Gonzaga, per quanto fosse un celebratissimo artista. Che delle sue fattezze Mantegna avesse oggettiva conoscenza lavorando alla Madonna della Vittoria o alla nuda Venere del Parnaso per il suo Studiolo nel 1497, infatti, non e’ da escludere del tutto, ne’ che altri l’avessero ritratta, come Bernardino Conti, in occasione di scambi o doni della sua immagine, fra le piu’ ricercate, da inviare alle altre corti e signorie in nome del prestigio delle arti e della moda mantovana. Avendo dovuto Mantegna dipingere, nella pala di S. Maria della Vittoria, Santa Elisabetta di fronte al prestante S. Giorgio, in cui il condottiero di Venezia si era voluto identificare, all’immaginazione popolare non sarà sfuggito che nell’aspetto della Santa, la committente sul lato opposto, apparisse inesorabilmente vecchia, pungolando il disappunto della marchesa, un disappunto che il trionfante consorte doveva farsi perdonare.

Non è documentato, ma probabile, che l’umile Maddalena allo specchio fosse offerta al signore di Mantova, nipote del principale committente di Leon Battista Alberti, da Tiziano stesso, attivo alla Scuola del Santo di Padova (Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Mantova e Urbino, Roma 1893, p.187, Lettera di Federico De Cattaneis ad Isabella d’Este, 28 agosto 1508), dove conobbe il Mantegna della Cappella Ovetari agli Eremitani e i suoi ritratti femminili idealizzati, che la Maddalena e Lazzaro di Tiziano evidentemente non ignorava, e conobbe personalmente le brillanti tendenze del rinnovato studio patavino nella sede del Bo, che avevano coinvolto Giorgione. La sensibilità religiosa della tela d'Isabella, dipinta 'di colore' in sua assenza, per volontà dei marchesi sarebbe servita a far conoscere al Duca d’Urbino l’immagine benevolente dell’illustre madre della sposa ed il gioiello di corte piu’ rappresentativo: una pittura ad olio.

L’‘Ut pictura poësis’ della tela (fig.1) è emblematico nella tavoletta di legno che Lazzaro mostra alla donna che si osserva, ma dove non si vede alcuna immagine riflessa per essere uno specchio, come è solito fare Tiziano: Isabella chiamava similia i suoi ritratti nel vastissimo epistolario, degno di una scrittrice, conservato dall’Archivio di Mantova. L’iconografia del dipinto allude alla Maria Maddalena che unse con l’olio di nardo i piedi di Gesù ed il vasetto d’unguento è fra le dita della mano sinistra, anche in tutte le copie bavaresi, riferite a Bordone, accanto al pettine poggiato su un tavolino, che manca nell’esemplare del Louvre. La donna appare incuriosita della tavoletta di legno, lasciando dietro di sé lo specchio, in cui si riflettono le sue spalle in un’oscura immagine: fu probabilmente la prima delle ‘poesie’ di Tiziano, nella quale l’iconetta allude ad una xilografia o ad un libro, la preghiera della pittura sacra, perfino nei dettagli esaltante la tecnica ad olio che l'accendeva nel cosmetico fra le sue dita, metalinguisticamente, parlando il dialetto di una fiaba. La seconda fu la Flora (Uffizi, Firenze), immagine del Tempio di Castore e Polluce, omaggio alla passione per la bellezza femminile sublimata da Pompeo per amicizia (Plutarco, VI, Agesilao e Pompeo, II, 5) nel De Familia di Leon Battista Alberti (trad. it.: I Primi tre libri della Famiglia, Francesco Carlo Pellegrini cur., Firenze, 1911, p.168): "Quella Flora bellissima, raméntati, la quale formosissima fu nel tempio di Castore et Polluce come cosa venustissima e quasi divina dipinta, benché di lei fosse Pompeio acceso, pur patì che Geminio la conoscesse."

I ritratti dipinti d'Isabella d'Este Gonzaga nel primo decennio del Cinquecento

La dama ha i capelli sciolti (fig.1), appena pettinati dall’aureola a nastro di una treccia, principio della sontuosa acconciatura a capigliara ed evoluzione della moda della ghirlanda, al posto di una corona, della cui invenzione Isabella si vantava, e che si vede nel più tardo ritratto di Vienna (fig.3), troppo bello per essere vero nell’abbigliamento e nell’acconciatura degna di una duchessa, ormai diffusa anche a Venezia: una sorta di copricapo di circostanza in molte fogge. Certo, in una donna meno giovane, il copricapo significava voler nascondere una testa incanutita o imbiancata. E, in una giovane, la soggezione ad un trucco per venir meno alla schiavitù della tradizione della donna angelicata, non proprio radicata solo a Venezia o soltanto legata alla poetica petrarchesca di Pietro Bembo e della quale la treccia e’ ancora una reminescenza. Oltre a Raffaello, Giorgione in persona ha mostrato l’immagine piu’ idealistica dell’immedesimazione maschile del poeta giovane nei Tre filosofi della Scuola d'Atene (Kunsthistorisches, Vienna).

La chioma nello specchio convesso si riflette interamente nella figura che vi appare di spalle, a paragone della tenerezza del viso di fronte, che alza lo sguardo, immedesimandosi nell’affetto dell’altro. Che Isabella d’Este fosse solita portare i suoi capelli da giovane in una semplice pettinatura, fermati da una retina o raccolti a cuore, sono testimonianza almeno due altri dipinti: il ritratto di Lorenzo Costa della Royal Collection (cm.37x29) (fig.8) del 1508, noto in piu’ copie, ed il particolare in cui è ritratta da Benevenuto Tisi, il Garofalo (fig.9), con la dodicenne figlia Eleonora e un liuto nel soffitto di Palazzo Costabili a Ferrara, nel 1506 affrescato per Lucrezia Borgia, seconda moglie di Alfonso d’Este, fratello di Isabella, nell’occasione del ricevimento che aveva salutato l’arrivo della vedova Bentivoglio a Ferrara; nessuno dei quali era quello a Mantova nello stesso anno, come anche il ritratto di Giovan Francesco Maineri che nel 1499 era stato inviato a Ludovico Sforza a Milano. Il primo dei due, quello di Costa, definito da Isabella piu’ bello del naturale, entrò nella raccolta del nobile veneziano Gerolamo Marcello, amico di Pietro Bembo, nel palazzo familiare del sestiere di San Polo a Venezia e fu questo   

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Fig.8 - Lorenzo Costa, Isabella d’Este (Royal Collection, Hampton Court)

 

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Fig.9 - Benvenuto Tisi il Garofalo, Elisabetta Gonzaga e Isabella d’Este, affresco della volta, particolare (Palazzo Costabili, Ferrara)

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Fig.10 - Francesco Francia, Ritratto di Isabella d’Este, miniatura ad olio su carta (Kunsthistorisches Vienna)

dipinto, a disposizione di Francesco Francia per eseguirne una copia, ad essere inviato a Francesco Gonzaga in prigionia a Venezia nel 1509, con un ritratto della figlia Eleonora, che altrettanto, a discapito del suo ritrovamento negli anni Settanta del secolo scorso, tuttora non è identificato unanimemente. Nulla toglie, infatti, che, a Venezia durante il Cinquecento, i ritratti Costa finissero oltralpe, verosimilmente in Inghilterra, ad opera di un mercante d’arte del secolo seguente della statura di Daniel Nys.

La copia da questo ritratto di Francesco Francia, orafo dei Bentivoglio, nella corrispondenza della marchesa, è calzante al ritratto di Isabella d’Este (Kunsthistorisches, Vienna) (fig.10) dal Castello di Ambras ad Innsbruck, miniatura ad olio su carta di una decina di centimetri (Bonoldi 2003). La preziosissima miniatura in oro, fu consegnata nel 1511, menzionata anche nella Lettera di Lucrezia d’Este Bentivoglio a Isabella dello stesso anno (Hickson 2009) e fu rinviata da Isabella stessa a Giovan Francesco Zaninello sempre a Ferrara nel 1512 e poi da questi, nel 1534, su richiesta della marchesa, a Tiziano, che la trattenne oltremodo presso di sé, per eseguire in assenza di Isabella il ritratto colla capigliara di Vienna (fig.3), del quale è stato detto.

Era anche questo secondo ritratto di Tiziano (fig.3), secondo la fitta e minuta corrispondenza di Isabella con il suo agente e lo stesso pittore, ad essere a sua volta, con la Giovane allo specchio (fig.1), nella collezione di Mantova e, nella vendita del 1627, poi elencato dal catalogo di Abraham Van der Doort della collezione di Carlo I d’Inghilterra e quindi inciso in controparte da Lucas Vorsterman iunior nel Theatrum Pictorium di David Teniers del 1660. La sua fitta documentazione, che fa risultare il ritratto in loco, assoggettato alla medesima vicenda collezionistica dell’altro (fig.1), da tutti i regesti compilati dagli storici, inconfondibilmente di Isabella d’Este Gonzaga, a consentire il confronto fisionomico alla stessa donna dipinta per prima da Tiziano.

 

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Fig.11 - Anonimo, Ritratto di Francesco Gonzaga (Kunsthistorisches, Vienna)

Un’altra prova che Costa avesse consegnato nel novembre del 1508 il suo ritratto con un cagnolino bianco d'Isabella (fig.8), in tavola su legno di pioppo, è che fosse servito da modello di verosimiglianza a Francesco Francia  per il suo (fig.10), che nemmeno apparve alla prima realistico, a dire di Lucrezia Bentivoglio, che poi costrinse il pittore ad avvalersi esclusivamente del suo consiglio per terminarlo, rendendolo più somigliante al soggetto originale: anche questo ritrattino di Francia dal Castello di Ambras, insieme a numerosi ritratti dei Gonzaga, commissionati nel secolo seguente dai margravi di Mantova, compreso quello del consorte della marchesa Francesco (Kunsthistorisches, Vienna) (fig.11), era stato finora materialmente inidentificabile.

I ritratti di Tiziano di Eleonora Gonzaga

L’incisione del secondo ritratto di Isabella di Tiziano (fig.12a, b), che reca l’iscrizione in basso a sinistra ‘E Titiani prototypo P. P. Rubens excudit’, era stata intagliata dallo stesso Pietro Paolo Rubens dal dipinto di Tiziano, come dettagliato nello stato di stampa acquistato dal British Museum nel 1871 da Colnaghi. Come ben documentato dall’epistolario di Isabella, inoltre,  

 

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 Fig.12 a, b - Pietro Paolo Rubens, Ritratto di Isabella d’Este da Tiziano, incisione e dettaglio (British Museum)

 

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Fig.13 - Tiziano, Ritratto di Eleonora Gonzaga (Uffizi, Firenze)

che ne sollecitava la restituzione da parte di Tiziano ai legittimi proprietari Zaninello, nel 1534 il dipinto di Francia (fig.10) si era trovato temporaneamente a Venezia per servire da modello della marchesa nello studio di Tiziano, che nei colori variegati del suo (fig.3) ne arricchì l’abbigliamento, sontuoso al punto tale da far replicare a Isabella, non appena lo vide per la prima volta, schermendosi, di non essere mai stata così bella all’età giovanile a cui Tiziano l’aveva ritratta. Una replica di Isabella a Tiziano diversa da quella contenuta nella lettera scritta al Costa molti anni prima, dove la marchesa, non meno compiaciuta, con modestia sottolineava di non essere così bella al naturale (fig.8). Tiziano non restituì al sollecito d’Isabella il ritratto di Francia, ma è indubitabile che consegnasse a Mantova il suo ritratto finito e con esso, verosimilmente anche il prototipo su carta. Non dovrebbe sorprendere minimamente che l’estetica del Cinquecento, non solo nel ritratto femminile, parlasse esteriormente di bellezza esornativa.

Ulteriore prova che Vecellio conoscesse bene il suo volto, che aveva già dipinto molti anni prima nel quadro di sacra rappresentazione poetica di Maddalena e Lazzaro, che dal 1508 doveva trovarsi già a Mantova, e’ che ne avesse tratto nella seconda effige (fig.3), dipinta molti anni dopo, un tonalismo estremamente raffinato non solo dell’incarnato, ma anche degli ornamenti, assenti nel primo dipinto, dove la sua immagine era impreziosita soltanto dalla tecnica ad olio esemplare.

Pochi anni dopo il suo secondo ritratto d’Isabella, Tiziano dipingerà inoltre il ritratto della figlia Eleonora Gonzaga Della Rovere (fig.13), che si trova agli Uffizi, e che nelle due riproduzioni mostrate appare com’era diffuso dai nostri antenati alla fine dell’Ottocento e com’è oggi. Anche Garofalo nell’affresco di Palazzo Costabili a Ferrara (fig.9) ne aveva risaltato l’ovale perfetto con lo sferoide del balzo di cui s’adornava, ma come per il suo ritratto di Costa, pure il ritratto di Eleonora giovane di Tiziano era finora quasi irrintracciabile.

Riesce difficile immaginare tuttora che possa consistere nella celebre Violante di Vienna (Kunsthistorisches, Vienna) (fig.14), una ventenne fin troppo avvicinata dalle puliture recenti e meno recenti al primo Tiziano della giovane Maddalena e Lazzaro del Louvre (fig.1), a dispetto del semplice cordoncino che lega i suoi capelli. Nell’ampio ‘décolleté’ di questo soggetto c’è un fiore di violetta a giustacuore, sinesteticamente allusivo al nome di Violante, la figlia di Jacopo Palma, e ad un profumo di sensuale passione appassita o, per meglio dire, un messaggio di devozione ad un marito o ad un amante lontano, non per questo dettaglio così comune, però, definibile in alcun modo più o meno veneziano, di nascita o d’adozione che fosse. La giovane Eleonora, prediletta da Tiziano per la sua fotogenicita’, o, per meglio dire, per la simmetria classica del suo viso, amava adornarsi di frivoli fiocchetti, foglie ed elementi floreali. Ed era anche una cultrice dell’euritmia musicale simboleggiata dal fiore della viola, il liuto con il quale l’aveva ritratta, accanto alla madre, Benvenuto Tisi detto il Garofalo a Palazzo Costabili a Ferrara (fig.9), ma l’autografia di Tiziano, fatta dal tonalismo e dal timbro cromatico riconosciuto da Roberto Longhi, sbiadiva in questa tela.

Ancora da un’incisione (fig.15), sempre in controparte di Lucas Vorsterman, dal Theatrum Pictorum di David Teniers (ed. 1660) si evincerebbe, infatti, che il dipinto di Vienna, noto come di Violante, fosse ritenuto di Iacopo Palma il Vecchio da uno dei maggiori collezionisti del Seicento. Per quanto il genio di Tiziano appaia venato nei letterati che lo conobbero da una sfumatura di allegria erotomane, pochi dipinti come questo hanno saputo esprimere la compassione e l’attesa ad un eterno innamorato.

Ed il discorso apparirebbe ancora più complicato dal fatto che la figlia di Iacopo Palma il Vecchio, Violante, era, al pari di Isabella, una ‘maitresse de Titien’. Ciononostante il titolo di: ‘La maitresse de Titien’ venne piu’ di una volta attribuito dalle incisioni dei secoli successivi al dipinto analogo, per la centralità della figura femminile, della Maddalena e Lazzaro: iscritto come dipinto da Tiziano, ma su disegno di Paris Bordone, nell’incisione prototipale in controparte per i Duchi di Baviera (Museo Nacional de Arte de Catalunya, Barcellona) (fig.18) realizzata da Christian Schlotterbeck (fig.19), in cui era detto proveniente dalla Galleria del Duca d’Orléans. Rendendo piu’ incerta ogni altra identificazione con le protettrici di Tiziano di nome Violante, tra cui Violante Bentivoglio, della Violante di Vienna, ancora oggi riferita anche a Jacopo Palma. Ritenuta perfino, non proprio una leale cortigiana, ma la fedele Cecilia Soldani in carne e ossa, amante e sposa del pittore cadorino, che, anche gracile, si fosse prestata da modella nella reciproca intimità. Quella signora Cecilia che Tiziano poteva aver incontrato negli anni padovani, quando la sua fama fra i pittori a Venezia aveva raggiunto i cittadini di Padova e dintorni, ma non solleticava ancora la vanità degli augusti accompagnatori di dame, damigelle e cortigiane di farsi ritrarre dal piu’ celebrato pittore veneziano. E’ indubbio che alla popolarità di ritrattista di Tiziano nelle corti cardinalizie e baronali dei maggiori e minori centri italiani abbia contribuito il capolavoro della Maddalena e Lazzaro del Louvre (fig.1), miraggio universale di fraterna onestà, se Cecilia fosse già stata al suo fianco. Il che non proverebbe come la cosiddetta Violante (fig.14) di Bartolomeo Della Nave, un innammorato dell'immagine più che della donna, una sorta di Turandot, fosse altrimenti giunta più di un secolo dopo nella Galleria dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles, se non per acquisto di David Teniers al duca di Hamilton.

Le copie della Maddalena e Lazzaro di Tiziano

Alla fine del Settecento erano molte le copie oltremontane del dipinto di Tiziano, tra le quali quella del Castello di Rodolfo II di Praga (fig.5), in cui al posto di Lazzaro è Marta, e che, analogamente alla copia di Beham (fig.6), indossa uno chaperon, facilmente confondibile con un turbante di foggia maschile, inventariatavi nel 1781 con l’attribuzione ad Orazio Vecellio, figlio di Tiziano: al suo ingresso nella galleria riconosciuta come copia da Tiziano, ma che, anche copiata da Bartel Beham per il Duca di Baviera (fig.6), ripeteva inoltre entrambi i dettagli del vasetto e del pettine ed era quindi a sua volta riprodotta dalle copie eseguite da Paris Bordone (figg.5 e 18) nei particolari, almeno una delle quali era in Germania da tempo.

Oltre a Dosso Dossi, nella nuda Venere Duveen, oggi riavvicinata alla bottega di Tiziano, entrata nella Kress Collection nel 1939 e alla National Gallery of Washington (fig.17), dove la supposta Laura Dianti con Alfonso I d’Este appariva divinizzata come Venere allo specchio, era Bordone, infatti, ad aver copiato piu’ volte il capolavoro di Tiziano del Louvre: sempre piu’ indulgendo alla Vanitas di Venere, ma ancora devozionalmente nella Marta e Maddalena della National Gallery of Scotland (fig.16), in cui Marta portava lo chaperon sciolto sulle spalle e in cui Violante, per tener fede al nome di Bordone ed alla bellezza carnale di Maddalena, sfoggia la nudità accademica di una vezzeggiata modella.

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 Fig.14 - Tiziano, Ritratto di Eleonora Gonzaga detta Violante (Kunsthistorisches, Vienna)

 

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Fig.15 - Lucas Vorsterman, da Iacopo Palma Senior, Ritratto di Eleonora Gonzaga, incisione in controparte

 

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 Fig. 16 - Paris Bordone, Marta e Maddalena (National Gallery of Scotland, Edinburgo, già Royal Society)

 

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Fig.17 - Dosso Dossi da Tiziano, Venere allo specchio (National Gallery, Washington, già Duveen

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 Fig.18 - Paris Bordone, Maddalena e Lazzaro, da Tiziano (Museo Nacional de arte de Catalunya, Lascito Combò 1949, già Raccolta Lowenfeld, Monaco)

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Fig. 19 - Christian Jacob Schlotterberg, Maddalena e Lazzaro, intitolata La Maîtresse de Titien, incisione dal Bordone di Barcellona, in controparte (ING, Roma)

Le copie di Bordone molto dovevano anche alla Violante di Tiziano a Vienna (fig.14), pittoricamente tanto precoce da essere avvicinata al tipo di dama di Jacopo Palma il Vecchio anche da David Teniers, che ne arricchì la Galleria di Leopoldo Guglielmo (fig.20 a, b).

Tratta dalla Maddalena e Lazzaro di Tiziano del Louvre (fig.1) è l’identico soggetto di Paris Bordone del Museo Nacional de la arte de Catalunya (fig.18) dalla collezione Combò (1949), che ebbe la fortuna di essere considerato versione di Tiziano da Adolfo Venturi nella Storia dell’arte italiana alla fine del quarto decennio del secolo scorso. Il dipinto, come già detto, fu inciso da Christian Jacob Schlotterberg (ING, Roma) (fig.17), incisore del Württemberg, proveniente dalla Galleria del Duca d’Orleans e i due esemplari alla fine del Seicento dovevano essersi trovati entrambi a Parigi, se non a Versailles, uno al Louvre e l’altro negli appartamenti o nei palazzi del Reggente di Francia Filippo, duca d’Orléans. Anche quest’ultimo dipinto doveva aver fatto parte della raccolta di Rodolfo II nel Castello di Praga ed essere stato acquistato nel secolo seguente da Monsieur de France al Principe Odescalchi con la raccolta della Regina Cristina di Svezia, quindi esportato nel Württemberg dalla sua seconda moglie, elettrice del Palatinato, e pervenuto nel secolo scorso nuovamente in Baviera, per successione dinastica, dov’era stato rintracciato da Venturi.

Le incisioni della Maddalena e Lazzaro di Tiziano

L’incisione dell’accademico tedesco Schlotterberg (fig.17), che recava anche la notizia che fosse stata dipinta da Tiziano e disegnata da Bordone (‘dessiné par Bord. [on]’), e quindi tratta da un rame più antico, è relativa distintamente al dipinto pubblicato a Monaco da Venturi e nella collezione del Museo di Barcellona, anche nei dettagli dei capelli che incorniciano i due volti e nella suppellettile, testimoniando che questo quadro, quasi gemello di quello del Louvre, dalla fine del Settecento si fosse ritrovato in Germania. Il bulino aveva avuto a sua volta una discreta diffusione tra i collezionisti in Italia, Inghilterra e Francia e François Forster nel 1830 incise l’esemplare del Louvre (fig.1), che si trovava nella Galérie de Napoleon, desumendo il titolo di ‘La Maitresse de Titien’ dall’incisione dei primi anni dell’Ottocento di Victor Dague, intitolata a sua volta ‘Titien et sa maitresse’, tentando come sarà per Violante un’altra lettura, in chiave autobiografica, della figura di Lazzaro: un supposto autoritratto di Tiziano. Quest’ultimo bulino, oltre allo stampatore, recava a sua volta il nome del primo intagliatore, traslitterando in francese il nome di Bordone: ‘dessiné par Bourdon’, facilmente intercambiabile con l’incisore francese Sebastien Bourdon. Ma l’una e l’altra incisione, fra le note realizzate in Francia, erano inequivocabilmente del dipinto al Louvre (fig.1), acquistato ad Everhard Jabach dalla Galleria dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo, governatore a Bruxelles, dove e’ un fatto storico che la tela si trovasse raffigurata da David Teniers nel suo dipinto della Galleria stessa (fig.20 a, b), della quale era stato più che decennale curatore, proprio accanto alla Violante (fig.14). Soltanto quest’ultimo ed il ritratto di Isabella d’Este del 1534 si trovavano ancora nella Galleria dell’Arciduca quando David Teniers compose il volume di incisioni dal titolo di Theatrum Pictorium nel 1658, che include anche l’incisione di Lucas Vorsterman del Ritratto di Tiziano d’Isabella d’Este del 1534 (fig.3) e nel quale non venne più inserita l’altra che era stata intagliata da Hendrick Danckerts, edita da Cornelis Veen, della Maddalena con Lazzaro dello stesso Tiziano al Louvre (fig.1), del quale l’Arciduca era stato proprietario. La matrona allo specchio di Tiziano figurava nel quadro della Galleria dell’Arciduca dipinto da David Teniers (fig.20 a,b), nell’esemplare della serie di dipinti di Teniers del Museo del Prado, meno dettagliata in questo dipinto della Galleria dell’originale e dell’incisione di Danckerts, che erano, entrambi, con il solo vasetto dell’olio di nardo sul tavolo: il quadro che sarà al Louvre. Non sarebbe impossibile immaginare che la florida donna veneziana, certo una giovane sposa, figlia di Jacopo Palma, favoleggiata da mezza Europa tra Seicento e Ottocento, che stenta ancora ad essere Violante e nemmeno e’ Isabella d’Este, fosse presa a modello da Tiziano per eseguire anche la cosiddetta Violante di Vienna (fig.14): certo è che i due dipinti di donna si somigliano nello stile, nella fisionomia, nella corporatura e nel gusto che perfino Jacopo Palma aveva appreso da Tiziano. Entrambi i ritratti di Isabella di Tiziano (figg.1 e 3), in chiave sincretica e obiettiva, erano paragonabili a Violante nella vanità e nella perspicace discrezione umanistica delle donne che dipingeva. L’ammirazione di Tiziano per Eleonora Gonzaga è inseguita da quasi tutti gli scrittori che si sono occupati di lui anche nei secoli scorsi e che riconobbero nel lusso della corte urbinate della duchessa Eleonora del severo ritratto degli Uffizi (fig.11), il tratto di discrezione regale che accomunava madre e figlia, oltre che le peculiarità dello sfarzo cromatico di Tiziano, imitato nei secoli.

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Fig.20 a, b - David Teniers, Galleria dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo (Museo del Prado, Madrid), insieme e particolare

 

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  Fig.21 - Victor Dague, da Tiziano, Le Titien et son maitresse, Galerie Napoleon, N 466, école italienne (1804 -06) (British Museum, acquisto George Willis nel 1856)

 

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Fig. 22 - François Forster, da Tiziano, La Maitresse de Titien, incisione, insieme e particolare

 

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Fig. 23 - Paris Bordone, Ritratto di Violante Palma (Alte Pinakothek, Monaco)

 

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Fig.24 - Teodoro Matteini, Galgano Cipriani, da Paris Bordone, Ritratto di Violante Palma, incisione

 

 

Novità dalla mostra Tiziano e l'immagine della donna nel Cinquecento veneziano a Milano

Le loro fisionomie sono confrontabili con il Ritratto di Violante Palma ancora di Paris Bordone nell’Alte Pinakothek di Monaco (fig.23) (acquisito dal museo nel 1956, proveniente dalla collezione van Diemen-Lilienfeld Galleries, New York), inciso da Teodoro Matteini e Galgano Cipriani a Venezia nel 1837 (fig.24): se le opere d’arte fossero sempre documenti oltre che preziosa moneta di scambio, non ci sarebbe ragione di dubitare che il plastico busto della florida Violante si fosse prestato da modello dal vivo anche per il giovane Paris Bordone, facendosi ritrarre a Venezia alla maniera d’Isabella (figg.23 e 24), in abito di velluto cremisi e con il solo corredo di un piumino da toletta di seta ed un filo di perle al collo e fra i capelli, in luogo di una treccia a simboleggiare l’eterno femminino, ma contornata dall’augusta dimora dell’Accademia veneziana.

Fra tante cortigiane e promesse spose sulle quali ha acceso le luci della ribalta la mostra di Palazzo Reale a Milano, dedicata a Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano, sarà inutile cercare questa volitiva e realistica Violante, tanto da far dubitare che l’esposizione sia stata una selezione delle immagini più meritevoli dell’epiteto di bella donna, rappresentate nei musei di più antica formazione, maggiori prestatori di opere, piuttosto che l’amplissima rassegna dell’ecfrasi letteraria nel Cinquecento pertinente i rispettivi oggetti esposti e illustrati dal catalogo con grande metodo. Competitiva verso l’attualità di Instagram, che della carrellata cinematografica ha eletto la passerella della moda del piccolo schermo.

Il fatto e’ che l’avvenenza della Maria Maddalena e Lazzaro del Louvre (fig.1), un’immagine anche piena dell’ultima maternità di Isabella che aveva allietato la giovane coppia, non sarebbe affatto paragonabile alla matrona Lucrezia narrata dallo storico Tito Livio nell’Ab Urbe condita come questa impettita Violante di Monaco (fig.23), pur sempre veneziana. Alla nobildonna romana che avrà subito la lascivia della violenza, in sé colpevole d’ingenuità per aver lasciato entrare in casa Tarquinio il Superbo, non sarebbe rimasta altra alternativa che la scelta di morire, piuttosto che di soggiacere alle minacce del re. Un tema che Tiziano aveva affrontato nell’affresco del Miracolo della donna ferita della Scuola del Santo di Padova, che rivela di quale genere fosse la gelosia della potestà maschile ancora sentita nel Cinquecento, anche a Venezia, che nemmeno Lucrezia Borgia avrebbe saputo sfatare senza un miracolo: la suggestione di un potere di vita e di morte. E’ sulla base del drammatico affresco di Padova, che il dipinto cosiddetto di Lucrezia e suo marito (Kunsthistorisches, Vienna) regge ancora il confronto a Tiziano, negato negli anni Sessanta del secolo scorso da Rodolfo Pallucchini. In realtà il soggetto del quadro è probabilmente di Tarquinio e Lucrezia, tentata dal suicidio, se inteso in rapporto più decisamente letterario all’esposizione di Tito Livio dell’episodio, ma più di ogni altro appare contaminato dal pennello di David Teniers, nel dipingervi accanto il volto maschile, una sorta di coazione a ripetere l’incanto dell’altro soggetto di coppia (fig.1) proiettato sull’eroina romana, per commemorare la rinuncia alla vita secolare di una conversa insidiata.

Il doppio ritratto di Lorenzo Costa d'Isabella d'Este e di Eleonora Gonzaga

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Fig.25 - Lorenzo Costa, Allegoria di Armonia, particolare del ritratto d’Eleonora in abito azzurro (Louvre)

 

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Fig.26 - Lorenzo Costa, Ritratto di Eleonora Gonzaga (Uffizi, Firenze)

Il ritrovamento ad opera di Rodolfo Siviero nel 1984 del Ritrattino femminile Gonzaga degli Uffizi (cm.27x21,5) (fig.26), ritornatovi dal Museum of Fine Arts di Boston, ha riproposto nel Novecento la sua identificazione con il dipinto su tavola di Lorenzo Costa della figlia di Isabella, Eleonora (fig.25). Oscillato da Timoteo Viti perfino a Raffaello per la sua qualità, questo ritratto, riconosciuto da John Shearman, e’ stato sostenuto nell’autografia costesca da Andrea Muzzi. E’ ora identificabile sia in rapporto all’affresco di Palazzo Costabili a Ferrara (fig.9) che ai ritratti di Tiziano di Eleonora Gonzaga (fig.11), ma anche in rapporto all’ovale inclinato del volto di Armonia nell’Allegoria di Lorenzo Costa (fig.25) (Louvre) dallo Studiolo d’Isabella, ottenuto con l’ausilio del reticolo di una quadratura geometrica. Nel dipinto dello Studiolo Eleonora è ritratta nella figura seduta in abito azzurro in primo piano con in braccio un agnello. La perfezione dell’ovale di Eleonora, prima di tutto naturale, che sarebbe stata raggiunta dal pittore della corte mantovana in questo ritrattino frontale (fig. 25), abbellito dalla treccia di un cordoncino, senza alcuna rotazione o flessione del volto nella posa, e che era perfetto, racchiuso nella pettinatura a balzo, anche nell’affresco di Garofalo, era il canone della bellezza femminile nel Rinascimento che affascinò lo stesso Tiziano, più evidente che mai nel suo ritratto di Eleonora degli Uffizi (fig.11).

Costa aveva ricreato da Antonello da Messina il formato del ritratto allo specchio, il ‘vis a’ vis’ di una preziosa gioia granita, rabescata sul retro e incastonata coll’iscrizione di un versetto di Giovanni Giacomo Calandra, commissionato al poeta nel giugno 1508. Smarginata sul lato destro, l’iconetta doveva formare sull’altra della madre della Royal Collection londinese (fig.8) di poco piu’ grande, l’anta di un dittico da tempo smembrato. Certo era l’inezia di un genio femminile, che si chiudeva e restava in equilibrio su qualche cassettone privatissimo, realizzando in pratica l’idea di Tiziano della Maddalena e Lazzaro del Louvre dell’immagine di una memoria familiare, il ritratto storico, tutt’altro che idolatra. Non si può negare che ancora documenti la suppellettile di casa Gonzaga, senz’altra ostentazione se non l’ornamento da camera in uso per tutta l’Europa del Cinquecento e molto oltre, al pari di un libro di preghiere, di poesie...  o di canzoni, o di un'immaginetta votiva: un ricordo familiare. Il precettore di Isabella, Mario Equicola, autore di una Cronaca di Mantova, nel 1517 accompagnerà la marchesa in viaggio al Santuario di Santa Maria Maddalena in Provenza, dedicando una rarissima operetta al suo pellegrinaggio, il D. Isabella Estensis Mantuae principis iter in Narbonensem Galliam: più che una testimonianza della sua cultura. Sempre che non solo le fiabe, ma anche le opere d'arte siano vere... e compatibili le quantità dei punti di risoluzione fotografica nella definizione delle immagini.

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Fig.27 - Rodolfo Siviero e il Ritratto di Eleonora Gonzaga di Lorenzo Costa (Uffizi, Firenze)

 


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