Una ricerca geoarcheologica ricostruisce la storia del porto occidentale di Ostia e del suo definitivo insabbiamento in età tardo antica a causa di uno tsunami.
La colonia romana di Ostia sul mar Tirreno, alla foce del Tevere, fu per secoli il principale hub commerciale e di approvvigionamento di merci, provenienti da tutto il Mar Mediterraneo, dell’antica Roma, cui era collegata dalla via Ostiense con un percorso di 16 miglia. La città conobbe un periodo di straordinaria prosperità e di sviluppo delle attività commerciali nel II secolo d.C. testimoniata da un altissimo numero di magazzini e di granai.
Sulle capacità e le infrastrutture portuali dell’antica Ostia conosciamo, rispetto ad altri aspetti, relativamente poco.
Solamente gli studi degli ultimi decenni stanno contribuendo a chiarire molte questioni. In particolare le ricerche archeologiche, studi geofisici e sedimentologici condotti dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso sul primo porto di Ostia hanno portato alla luce una infrastruttura portuale di tipo lagunare in un bacino scavato artificialmente scendendo fino a più di 5,5 m al di sotto dell'attuale livello del mare in antichi depositi di sabbia fluvio-deltaica e marina. Una scoperta di notevole importanza urbanistica. Il bacino di questo porto lagunare era profondo almeno 4,7 m e quindi adatto anche alle grandi navi da carico. Situato nella regio III della città alla periferia occidentale della città fu pienamente operante tra il IV e il II secolo a.C. A partire dal II secolo a.C. le ricerche hanno chiarito che una parte considerevolmente più piccola e meno profonda di questo bacino, tra il cosiddetto Palazzo Imperiale e quello che presumibilmente era l'antico faro, era ancora in funzione ma come porto fluviale con un profondità di soli 1,20 m che lo rendeva accessibile solamente alle imbarcazioni di piccole dimensioni o con chiglie piatte e pescaggio corto. Le navi da carico più grandi scaricavano in tutta evidenza lungo la riva del fiume a nord dell'antica Ostia o restando ormeggiate al largo e il loro carico veniva trasbordato su natanti più piccoli. Ragione che ha indotto alcuni studiosi a sostenere la tesi del suo completo insabbiamento alla fine del primo quarto del I secolo d.C. Sul bacino largo circa 150 m, delimitato da una strada, si affacciava un complesso edilizio, Consisteva in una piattaforma, sulla quale sorgeva un grande tempio su podio orientato verso la foce del Tevere con portici su tre lati esterni. Probabilmente il tempio era il primo edificio che appariva alle imbarcazioni che risalivano il fiume. La sostruzione della piattaforma era costituita da numerosi lunghi ambienti voltati che si aprivano verso il Tevere e il bacino del porto a ovest con rampe in opus caementicium. La fase edilizia iniziale viene fatta risalire alla prima età imperiale. La struttura venne interpretata come navalia.
A partire dal 42 d.C. sotto l'imperatore romano Claudio, iniziò la costruzione del nuovo porto di Portus circa 3,5 km a nord-ovest della città antica. La nuova infrastruttura raggiunse la sua piena funzionalità sotto l'imperatore Traiano all'inizio del II secolo d.C.
Finora negli studi era rimasto non chiarito e controverso il destino del porto occidentale di Ostia, il più antico della colonia. Era ancora in uso nel 42 d.C. e se funzionante per quanto tempo dopo ancora restò in uso?
La tesi sostenuta da alcuni studiosi che il porto fluviale avesse smesso di funzionare ben prima della costruzione di Portus collide con le prove archeologiche che fissano la costruzione del complesso navalia- tempio al secondo quarto del I secolo d.C. Avrebbe avuto senso costruire un edificio portuale di quel tipo se il porto associato era stato già stato abbandonato da alcuni decenni?
Per chiarire questo problema e molte altre questioni un equipe di studiosi ha condotto indagini geoarcheologiche dettagliate sulla fronte occidentale del complesso navale-tempio confrontandone i risultati con i dati archeologici ottenuti dagli scavi effettuati nella stessa zona nel 2000-2001. Sono state identificate le strutture del sottosuolo e valutate le stratigrafie con metodi geofisici e strumentazioni sofisticate.
I risultati sono stati pubblicati in un articolo di A. Vött,T. Willershäuser,_ H. Hadler,_ L. Obrocki, P. Fischer e M. Heinzelmann sul numero di aprile 2020 di Archaeological and Anthropological Sciences (Volume 12, Issue 4). (Geoarchaeological evidence of Ostia’s river harbour operating until the fourth century AD).
Gli studi geoarcheologici presso il complesso navalia-tempio sono stati condotti da un team di ricercatori rispettivamente dell’Istituto di geografia dell’università Johannes Gutenberg di Mainz, e di quello di Archeologia dell’università di Köln, nell'ambito del Programma Prioritario 1630 "Harbours from the Roman Period" –the Middle Ages" finanziato dalla Fondazione tedesca di ricerca 2012.. Il lavoro sul campo comprendeva un'indagine geofisica dettagliata dell'area portuale fluviale utilizzando un’ampio spettro metodologico. Dagli studi sistematici di tomografia elettrica di resistività multielettrodo, alla riflessione sismica e al georadar..
Quali sono stati i risultati?
Dalle prospezioni geofisiche, dai carotaggi con sistemi a vibrazione, dall'esame dei sedimenti, della microfauna in essi contenuta, da ritrovamenti di monete e da molti altri elementi, dati sedimentari, geochimici, datazione al radiocarbonio, riportati con estremo dettaglio nell'articolo cui rimandiamo, prove geo-archeologiche e archeologiche, si evince che il porto fluviale occidentale di Ostia non fu né abbandonato né completamente insabbiato prima della costruzione di quello imperiale di Portus. Sulla base della datazione al radiocarbonio, i navalia sono risultati invece essere in uso tra il I e il IV secolo d.C. con una profondità d'acqua di massimo 1,2 m in corrispondenza della fronte occidentale del complesso. I dati cronostratici hanno evidenziato che il complesso navale-tempio è stato in uso fino alla seconda metà del IV secolo d.C. e non fu abbandonato prima del 355-363 d.C.
Risultato straordinario di questa cospicua ricerca è la scoperta che la fronte occidentale del complesso navalia-tempio è stata colpita da un evento di onde estreme che ha lasciato uno strato di sabbia di circa 0,5 m di spessore. Non una tempesta ma uno tsunami.
Quando? La risposta degli studiosi è tra il 355 e il 363 d.C. quando avvenne un evento catastrofico che colpì una vasta area che si affacciava sul mar Tirreno e i cui effetti sarebbero stati amplificati dalla forma a imbuto della foce del Tevere. Per Ostia comportò per l’appunto il completo insabbiamento l'abbandono del porto fluviale a occidente della città.
La datazione proposta non è lontana dalla data del 21 luglio 365 d.C. in cui avvenne un disastroso terremoto a Creta di magnitudo compresa tra 8.3 ed 8.5, il più forte mai verificatosi nel Mediterraneo, che provocò valori di PGA (picco massimo dell’accelerazione indotta nel terreno dalle scosse) pari addirittura a 1.0 g. E’ rimasta traccia nella porzione più occidentale di Creta, non distante dall'epicentro a SO dell’isola, di innalzamenti del terreno fino a 9-10 metri di altezza. Il sisma fu accompagnato da uno tsunami che colpì gran parte del Mediterraneo orientale sino all'Italia meridionale. Nel giro di 60-75 minuti le onde raggiunsero le coste calabresi e siciliane, con altezze intorno ai sette metri come confermato da alcuni sondaggi nella zona del Pantano Morghella, un’area lagunare costiera nei pressi di Pachino. L’ingressione marina avrebbe in quel punto raggiunto la distanza di almeno 1 km dalla linea di costa.
Molti hanno messo in dubbio l'idea che in quella occasione l'onda dello tsunami abbia raggiunto le coste che si affacciano sul mar Tirreno ma sicuramente i dati dell’articolo inducono a rivedere questa opinione a meno che non si tratti di un altro evento avvenuto intorno agli stessi anni nel mar Tirreno, comunque un evento catastrofico.