Una recente indagine condotta dallo Spatial Archaeometry Lab (SPARCL) dell'Università di Dartmouth ha rivelato 396 fortezze, apparentemente romane e precedentemente sconosciute, nell'odierna Siria ed Iraq. La ricerca nasce da una rivalutazione delle idee di Antoine Poidebard - pioniere indiscusso dell'archeologia aerea - che condusse negli anni venti una delle prime indagini archeolgiche aeree, circa le fortificazioni collocate presso la frontiera orientale dell'impero romano. L'equipe ha impiegato satelliti spia e immagini satellitari della guerra fredda declassificate degli anni '60 e '70. La ricerca è stata pubblicata ad ottobre 2023 sulla rivista Antiquity.
Durante una pionieristica ricognizione aerea del Vicino Oriente negli anni '20, padre Antoine Poidebard registrò centinaia di edifici militari fortificati che tracciavano la frontiera orientale dell'Impero Romano. Sulla base della loro distribuzione, Poidebard avanzò l'idea che questi forti rappresentassero una linea di difesa contro le incursioni da est. Utilizzando immagini declassificate dei programmi satellitari spia CORONA e HEXAGON, gli autori riportano l’identificazione di altri 396 forti ampiamente distribuiti nella Mezzaluna Fertile settentrionale. L'aggiunta di questi forti mette in discussione la tesi difensiva della frontiera di Poidebard e suggerisce invece che le strutture avessero avuto un ruolo nel facilitare il movimento di persone e merci attraverso la steppa siriana.
Il primo censimento, pubblicato da padre Antoine Poidebard nel 1934, registrava una linea di 116 forti che corrispondevano alla frontiera orientale dell'Impero Romano. Si pensava quindi che i forti costituissero una linea difensiva per proteggere le province orientali dalle incursioni arabe e persiane. "Fin dagli anni '30, storici e archeologi hanno discusso lo scopo strategico o politico di questo sistema di fortificazioni", afferma l'autore principale della ricerca, il professor Jesse Casana del Dartmouth College, "ma pochi studiosi hanno messo in dubbio l'osservazione fondamentale di Poidebard secondo cui esisteva una linea di forti che definiscono la frontiera romana orientale."
Per affrontare questo problema, il professor Casana e un team di investigatori del Dartmouth College hanno, come si è detto, utilizzato immagini satellitari spia declassificate della Guerra Fredda per valutare se le scoperte di Poidebard fossero accurate.
"Queste immagini facevano parte dei primi programmi satellitari spia del mondo", affermano gli autori. Essi "conservano una prospettiva stereo ad alta risoluzione su un paesaggio che è stato gravemente influenzato dai moderni cambiamenti nell'uso del territorio".
Mappa che mostra la distribuzione dei forti scoperta da Poidebard (sopra) e dagli autori (sotto). Crediti: Antiquity (2023). DOI: 10.15184/aqy.2023.153
Utilizzando i forti trovati da Poidebard come punto di riferimento, la squadra è stata in grado di identificarne altri 396. Erano ampiamente distribuiti in tutta la regione da est a ovest, il che non supporta la tesi secondo cui i forti costituivano un muro di confine nord-sud. I ricercatori ipotizzano che i forti siano stati effettivamente costruiti per sostenere il commercio interregionale, proteggendo le carovane che viaggiavano tra le province orientali e i territori non romani e facilitando la comunicazione tra est e ovest. È importante sottolineare che ciò indica che i confini del mondo romano erano meno rigidamente definiti ed esclusivisti di quanto si credesse in precedenza. Probabilmente la frontiera romana orientale non era un luogo di costante conflitto violento. I romani erano una società militare, ma davano chiaramente valore al commercio e alla comunicazione con le regioni non sotto il loro controllo diretto. In quanto tale, questa scoperta potrebbe avere implicazioni drammatiche per la nostra comprensione della vita sulle frontiere romane. Rivela inoltre il valore delle immagini satellitari per la registrazione delle caratteristiche archeologiche prima che vadano perdute.
Grandi fortezze romane scoperte dagli autori utilizzando immagini satellitari. Crediti: Antiquity (2023). DOI: 10.15184/aqy.2023.153
"Siamo stati in grado di identificare con sicurezza i resti archeologici esistenti solo in 38 dei 116 forti di Poidebard", afferma il professor Casana. "Inoltre, molti dei probabili forti romani che abbiamo documentato in questo studio sono già stati distrutti dal recente sviluppo urbano o agricolo, e innumerevoli altri sono in estrema minaccia." Ciò significa che in meno di 100 anni dall'indagine aerea di Poidebard, un gran numero di fortezze romane e altri siti archeologici sono andati perduti a causa dello sviluppo urbano e dell'intensificazione dell'agricoltura. Ciò rende la registrazione su larga scala dei paesaggi archeologici particolarmente vitale per la conservazione del patrimonio. Man mano che saranno disponibili immagini sempre più declassificate, come le fotografie degli aerei spia U2, sarà possibile fare nuove scoperte archeologiche. Secondo il professor Casana, "un'analisi attenta di questi potenti dati racchiude un enorme potenziale per scoperte future nel Vicino Oriente e oltre".
Persistono numerosi dubbi sull'effettiva attribuzione al periodo romano di queste strutture, come espressamente dichiarato dall'autore stesso, sparse su un territorio molto vasto e soggetto a numerose successioni socio-culturali. La sola interpretazione delle immagini satellitari e della morfologia delle strutture appare, infatti, criterio insufficiente per l'attribuzione delle fortezze al tardo periodo romano, considerato il consistente numero di forti scoperto nell'odierno Iraq, territorio che, storicamente, come confermato da numerose fonti letterarie ed evidenze archeologiche, era sotto il controllo della dinastia arsacide prima (246 a.c. - 224 d.c.) e sasanide poi (224 d.c. - 651 d.c.) sino all'avvento della conquista islamica: i cui qasr del periodo omayyade e abbaside sono per forma e dimensione analoghi ai castra romani, probabilmente a causa del riuso di queste strutture e delle maestranze locali impiegate. Definire una attribuzione diretta appare impossibile se non alla luce di nuove ricerche archeologiche multidisciplinari svolte direttamente sul campo da equipe interdisciplinari. Aldilà della datazione relativa, la ricerca rimane una scoperta importantissima che porta nuova linfa vitale allo studio del Vicino Oriente e pone nuove interessanti domande cui trovare una spiegazione.
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