Quando sono arrivati in Europa gli Homo sapiens di origine africana? E poi il grande enigma di come sia avvenuta da parte loro la sostituzione e l’assorbimento parziale delle popolazioni locali di Neanderthal.
Non un processo unico e omogeneo ma probabilmente con una serie di varianti tra area e area, soprattutto con dettagli che rimangono sconosciuti. Quant'è durata la sovrapposizione cronologica tra i due gruppi? C’era interazione? Che implicazioni biologiche e culturali ha comportato? Le opinioni nel mondo della ricerca a riguardo sono diverse e assai dibattute e controverse. Si stima che una percentuale variabile tra il 2 e il 6 per cento del genoma delle persone che non sono di origine africana derivi dai nostri cugini ancestrali Neanderthal e dai Denisova. Mentre nelle popolazioni asiatiche la percentuale del DNA derivato dai Neanderthal sale al 12-20 per cento. Uno scenario che per l’appunto ha fatto ipotizzare episodi multipli d’incrocio tra esseri umani e neanderthaliani come anche tra Neanderthal e Denisova, e tra Denisova, gli Homo sapiens e altri ominidi.
Domande importanti su cui gettano luce le scoperte emerse dai nuovi scavi nella grotta di Bacho Kiro in Bulgaria, con datazione diretta di resti fossili di Homo sapiens trovati in associazione con manufatti risalenti all’inizio del paleolitico superiore . Novità dettagliatamente riportate in due articoli pubblicati entrambi l’11 maggio 2020 rispettivamente il primo su Nature (“Initial Upper Paleolithic Homo sapiens from Bacho Kiro Cave, Bulgaria”), () che descrive il quadro delle novità emerse dalla campagna di scavo, e il secondo su Nature Ecology & Evolution (“A 14C chronology for the Middle-to-Upper Paleolithic transition at Bacho Kiro Cave, Bulgaria”) dedicato alle datazioni al radiocarbonio dei reperti.
Due rilevanti contributi che scaturiscono dalle ricerche di un ampio team internazionale coordinato da scienziati del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Germania) con la partecipazione per l’Università di Bologna di un gruppo specializzato in datazioni al radiocarbonio ad altissima precisione guidato dalla professoressa Sahra Talamo, ordinario di Chimica presso il Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” e Principal Investigator del progetto di ricerca europeo Resolution (ERC Starting Grant No. 803147).
La grotta di Bacho Kiro si trova a 5 km a ovest di Dryanovo (Bulgaria), sul versante settentrionale della catena montuosa dei Balcani (Stara Planina) a circa 70 km a sud del Danubio, la cui valle ha costituito per millenni la grande direttrice di popolamento dell’Europa. Il sito alla foce di un grande sistema carsico comprende reperti riconducibili a ripetute occupazioni che vanno dal Paleolitico tardo medio al Paleolitico superiore.
Non si tratta delle prime indagini nel sito. Infatti la grotta di Bacho Kiro fu scavata da D. Garrod nel 1938, ma è meglio conosciuta dagli scavi più estesi (dal 1971 al 1975) di una squadra guidata da B. Ginter e da J. Kozłowski. Molti dei manufatti rinvenutivi presentano una colorazione rossa coerente con l'uso dell'ocra. I resti umani frammentari trovati negli scavi degli anni ’70 sono andati però incredibilmente smarriti. Nel 2015 l’Istituto Nazionale Archeologico Bulgaro con Museo di Sofia e il Dipartimento di Evoluzione Umana del Max Planck Institute per l'antropologia evolutiva hanno ripreso le ricerche con l’obiettivo di chiarire la cronologia e la natura biologica dei creatori dei manufatti litici rinvenutivi. Dalle nuove campagne di scavo sono venuti alla luce nuovi reperti tra cui, negli strati archeologici del Paleolitico superiore iniziale, un dente e cinque frammenti ossei che, grazie all’analisi del DNA mitocondriale, sono stati attribuiti a esemplari di Homo sapiens.
A incaricarsi dell’esatta cronologia dei fossili rinvenuti sono stati il team della professoressa Sahra Talamo e quello del Dottor Lukas Wacker del Dep. of Earth Sciences dell’ETH di Zurigo (Svizzera). E’ stato utilizzato un nuovo approccio per le datazioni al radiocarbonio che ha consentito di ottenere un’altissima precisione in termini di intervalli di errori mai conseguita in precedenza in analisi di questo tipo.
L’analisi morfologica del dente e del DNA mitocondriale estratto da diversi frammenti di ossa hanno consentito di assegnare queste presenze a H. sapiens che sarebbe quindi giunto nelle medie latitudini dell'Eurasia oltre 45.000 anni fa dando luogo all'espansione delle tecnologie del Paleolitico superiore iniziale. Insieme alla datazione diretta delle ossa umane i segni rilevati sulla maggior parte delle ossa di animali, conseguenza della macellazione e delle altre manipolazioni degli uomini, hanno fornito un quadro cronologico molto chiaro di quando l’Homo sapiens ha occupato per la prima volta questa grotta. «Nell’intervallo – precisa la dottoressa Helen Fewlass tra gli autori della ricerca - tra 45.820 e 43.650 anni fa, e potenzialmente già 46.940 anni fa». Ovvero si tratta della più antica evidenza diretta della presenza della nostra specie in Europa che anticipa l’arrivo nel continente di ben 2.000 anni rispetto all'epoca ipotizzata sino ad oggi dagli studi sulla base dei rinvenimenti nella Kent's Cavern nel Sud-Ovest del Regno Unito e nella Grotta del Cavallo nella penisola salentina in Italia meridionale. Nel contempo le ricerche hanno costruito il più ampio dataset di un singolo sito paleolitico mai realizzato.
Questa antichissima ondata di Homo sapiens, per ora quindi la più antica identificata, portò in Europa nuovi comportamenti ed entrò in contatto con gli uomini di Neanderthal che si erano sparsi in varie aree europee. Sicuramente «è anteriore - sottolinea Jean-Jacques Hublin, direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Germania) - a quella che 8.000 anni dopo portò alla definitiva estinzione dei Neanderthal in Europa occidentale».
La venuta in contatto della nostra specie con l’Uomo di Neanderthal, scomparso circa 40.000 anni fa, ha avuto conseguenze sui rispettivi percorsi culturali come sembrano suggerire alcuni indizi trovati a Bacho Kiro ruotanti sostanzialmente su alcuni manufatti in osso e avorio, risalenti alla fase iniziale del Paleolitico superiore, che anticipano esplicitamente testimonianze neandertaliane di alcuni millenni più tarde, ritrovate in altre aree d’Europa. «Sono sorprendentemente simili a quelli prodotti dai Neandertaliani nella fase precedente alla loro estinzione, venuti alla luce nella Grotte du Renne, in Francia» afferma Sahra Talamo. Una similitudine che porta Jean-Jacques Hublin a ipotizzare che alcuni comportamenti Neanderthaliani siano il risultato di incontri ravvicinati con i primi gruppi di Homo sapiens arrivati in Europa.
In particolare i campioni dallo strato I hanno prodotto sequenze di mtDNA che si avvicinano molto alla base di ciascuno dei tre principali macro-aplogruppi di odierni non africani (M, N e R).
Rimandiamo agli articoli per le tecniche utilizzate nella ricerca segnalando solamente alcuni passaggi. Il team ha analizzato complessivamente 1.271 campioni frammentari di ossa e denti usando ZooMS, acronimo di ZooArchaeology by Mass Spectrometry, per discriminare le ossa dalle differenze nella massa dei peptidi conseguenti alle differenze di sequenza tra le specie. I singoli peptidi sono stati sequenziati manualmente utilizzando metodi statistici per separare i campioni. La caratterizzazione via Matrix Assisted Laser Desorption Ionization Time of Flight (MALDI-TOF) è stata condotta presso l'IZI Fraunhofer di Lipsia. Gli spettri sono stati analizzati rispetto a un database di riferimento contenente masse marker di collagene-peptidi di tutti i generi di medie e grandi dimensioni esistente nell'Eurasia occidentale durante il tardo Pleistocene. Per le misure si è utilizzato una macchina-AMS Accellerated Mass Spectrometer di ultima generazione - la cosidetta MICADAS MIni-CArbon-DAtingSystem - sviluppata per misurare bassi contenuti naturali di carbonio radioattivo (14C concentrazione inferiore al 10 -10%) con un alto grado di precisione, Il sistema è posseduto dal laboratorio ETH di Zurigo.
Preparazione delle librerie genomiche, amplificazione della library, cattura del mtDNA e il sequenziamento sono descritti dagli autori nelle loro varie fasi. Dopo il campionamento la pulizia e la polverizzazione dei campioni per l’estrazione del DNA antico e la preparazione della libreria si è seguito un protocollo basato sull'utilizzo di particelle di silica che in particolare utilizza la guanidina idrocloride e colonnine che immobilizzano la silica su filtri. Le varie fasi di preparazione delle librerie hanno visto l’arricchimento delle molecole indicizzate mediante la reazione di amplificazione Accuprime PCR. Le librerie catturate sono state sequenziate su piattaforma Illumina MiSeq impostando 2x76 cicli di sequenziamento. Gli errori di tipo stocastico sono stati affrontati con Bustard. Le relazioni filogenetiche sono state ricostruite tramite inferenza bayesiana integrando gli algoritmi Markov chain Monte Carlo (MCMC) implementati dal pacchetto software free BEAST v2.5.0.
Il sito della grotta di Bacho Kiro dimostra chiaramente che la fase iniziale del Paleolitico superiore in questa regione dell’Eurasia va ascritta all’ Homo sapiens confermando i modelli sinora proposti nella ricerca.