Il restauro della Chiesa di Santa Maria della Carità a Brescia

restauro brescia_2Forse più conosciuta come chiesa “del Buon Pastore”, poiché annessa all’omonimo monastero oggi occupato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, la Chiesa di Santa Maria della Carità risale al XVII secolo (1640), epoca in cui prese il posto dell’esistente edificio sacro votato a Santa Maria Maddalena, secondo il progetto dell’architetto Agostino Avanzo.

Situata all'incrocio tra via Gabriele Rosa e via Musei, sul percorso turistico culturale che, seguendo il Decumanus Maximus, va da Santa Giulia al cuore della città, l’antico edificio ha una inconsueta pianta ottagonale sovrastata da un catino con lanterna, anch'essa a base ottagonale, innalzato su di un basso tamburo con contrafforti.

La facciata, frutto di rimaneggiamenti operati nella prima metà del Settecento, è espressione di un disegno affine a modelli neoclassici e si compone di due ordini di lesene singole e binate: uno alto, caratterizzato da volute di raccordo, e uno basso dal quale emerge il portale in pietra di Botticino. Ai lati di quest'ultimo si impostano due colonne in granito bianco della Troade, in origine parte del lato meridionale del Foro successivamente reimpiegate nella cattedrale di San Pietro de Dom. Sulla sua sommità è posta la Madonna di Loreto, opera in marmo bianco cristallino a grana grossa di Carlo Carra facente parte dell'apparato scultoreo che arricchisce la facciata. Due angeli laterali in pietra di Botticino di Alessandro Callegari e Antonio Ferretti, due lanterne e un acroterio con croce in ferro completano rispettivamente il primo ordine di lesene e il timpano di coronamento.

Internamente lo spazio si connota per la presenza dell'altare maggiore rivestito in marmi policromi, realizzato su disegno dei Corbarelli, a partire dal 1685, con l'obiettivo di custodire una cappella realizzata a somiglianza della Santa Casa di Nazareth del Santuario di Loreto. Negli sfondati laterali due ancone in legno intagliato dalla foggia barocca fanno da cornice a due tele di pittori bresciani del Seicento: Antonio Gandino (Maddalena nel deserto con gli angeli) e Francesco Paglia (San Sebastiano, Sant'Antonio Abate e San Rocco). Alle pareti Giuseppe Orsoni ha affrescato architetture e prospettive di largo respiro e nei vani degli altari laterali Giacomo Boni ha dipinto figure di vescovi, mentre il raffinato pavimento ad intarsio in brecce policrome è opera degli abili scalpellini rezzatesi.

Oggi la riscoperta dei molteplici contributi artistici si accompagna al rinnovato interesse per la costruzione del patrimonio sociale e civile, secondo una prassi di cui la storia della Chiesa è da sempre testimone. Gli impulsi legati all’edificazione del tempio e alla sua manutenzione nascono, infatti, in seno ai temi della solidarietà e della generosità: perché sorse accanto agli edifici che ospitavano il “Conservatorio delle Convertite della carità”, aperto, su iniziativa della contessa Laura Gambara Secco d’Aragona, per dare accoglienza e conforto alle donne bresciane vittime degli abusi delle soldatesche del Sacco di Brescia (1512) e alle prostitute. E perché i bresciani sostennero sia l’edificazione sia i primi lavori di restauro, dal primo Settecento in avanti. Sono le stesse fonti documentali a testimoniare che quando si dovette mettere mano alla Chiesa, i bresciani contribuirono ogni volta in modo concreto. 

È proprio in continuità con questi gesti esemplari di solidarietà e generosità che la Fondazione Cab ha deciso di intraprendere un percorso di recupero dell’edificio sacro, coinvolgendo nell’impresa – attraverso l’Associazione Amici della Chiesa di Santa Maria della Carità – tutti i bresciani che a titolo personale  hanno sostenuto l’operazione. La neonata onlus, infatti, affianca la Fondazione in questo progetto che, ancora una volta, è occasione d’incontro tra privato e pubblico (la Parrocchia della Cattedrale, proprietaria dell’edificio), ma che intende anche coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini, conformemente alla storia della Chiesa. Ne è conseguita la stesura del progetto di restauro conservativo a firma dello studio Tortelli Frassoni che, sulla scorta della felice esperienza e degli incoraggianti risultati ottenuti a Santa Giulia, è chiamato a svolgere il ruolo di coordinamento complessivo e unificazione delle diverse istanze disciplinari e competenze professionali sotto un’unica regia. I paradigmi fondamentali dell’intervento, i riferimenti scientifici e le scelte culturali sono ispirati, in primo luogo, dalla disciplina conservativa e commisurati alle ragioni di una migliore “presentazione” dell’edificio e dell’aggiornamento del suo programma, nobilitato dalla funzione religiosa e al tempo stesso comunitaria; Il progetto è stato preceduto dall'indagine storica e dalle analisi dell'attuale situazione di degrado fisico e materico, indispensabili per definire gli indirizzi metodologici più corretti e compiere scelte operative rispettose del valore testimoniale del bene. In questo processo grande rilevanza hanno avuto anche altri temi essenziali come il consolidamento strutturale e l’adeguamento impiantistico, e questioni più squisitamente estetiche come la rimozione di elementi e aggiunte considerati impropri e la reintegrazione delle lacune.

Sul piano operativo, l’intervento, si è sviluppato a partire dal risanamento delle coperture con la sostituzione dell’orditura lignea ormai fatiscente con nuovo legname anche di tipo lamellare; a seguire un consolidamento statico del tamburo della cupola composta da otto vele tra di loro distaccate a causa di cedimenti strutturali delle fondazioni, attraverso l’inserimento di tiranti costituiti da barre di acciaio inserite all’interno dello spessore delle murature, previa realizzazione di perforazione mediante apposita carotatrice.

La messa in sicurezza dell’edificio si è conclusa con l’utilizzo di fibre di carbonio incollate  con resine speciali sulla giunzione degli spicchi della cupola ad aumentare il consolidamento strutturale della stessa.

Particolare attenzione al recupero delle partizioni più articolate dal punto di vista artistico, come la facciata e il suo complesso scultoreo con il recupero dell’originario trattamento a marmorino bianco ad imitazione della pietra di Botticino; e gli apparati decorativi pittorici e plastici dell'interno.

Gli altari lignei laterali hanno ritrovato l’originario splendore della lamina in foglia d’oro che li riveste mentre un attento restauro è stato dedicato ai marmi dell’altare maggiore coperti da depositi di polveri accumulate negli anni ed al consolidamento dei tasselli di marmo policromo.

Fonte: Ufficio stampa Multimedia Milano

 

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