L’area archeologica di Paestum è tutt’oggi oggetto di progetti d’applicazione delle tecnologie archeometriche per lo studio e la conservazione dei beni culturali. Tra le ultime analisi vi sono quelle effettuate sulla Tomba del Tuffatore, che hanno rivelato nuove informazioni sulla produzione artistica dei suoi affreschi. La Tomba del Tuffatore, nota sin dal 1968, venne scoperta in una piccola necropoli a circa 1.5 km a sud della antica città di Paestum. Datata tra il 500 e il 470 a.C., è una tomba a cassa riccamente decorata: sulle pareti vennero dipinte delle scene di simposio, mentre sulla lastra di copertura era raffigurato un giovane tuffatore, da cui la tomba prende il nome. Queste pitture, realizzate con la tecnica dell’affresco, sono state oggetto di numerose ricerche, in particolare al fine di determinarne l’origine: mentre alcuni studiosi le hanno attribuite all’opera di pittori greci, altri hanno sottolineato la presenza di confronti e paralleli con l’arte etrusca o italica. Successive scoperte di altre tombe con pitture simili hanno rivelato anche una relazione con le tradizioni sepolcrali lucane.
Le pitture della Tomba del Tuffatore sono state al centro di una ricerca interdisciplinare, pubblicata recentemente (https://doi.org/10.1371/journal.pone.0232375) dall’Associazione Italiana di Archeometria (AIAr, www.associazioneaiar.com) e dal Parco Archeologico di Paestum (www.museopaestum.beniculturali.it), nell’ambito della quale gli affreschi sono stati studiati tramite analisi archeometriche. I risultati ottenuti sono stati poi confrontati con quelli di ulteriori analisi effettuate su altre tombe e edifici pubblici di Paestum. Questo studio fa parte del progetto interdisciplinare “Paestum Inside/the lights of science” (CIG: ZAE1CE2514) incentrato sullo studio delle tecniche d’esecuzione, della composizione dei pigmenti e delle malte negli affreschi delle tombe di Paestum attraverso l’applicazione delle tecniche archeometriche.
Lo studio delle pitture della Tomba del Tuffatore è stato suddiviso in due fasi. Nel corso della prima fase è stata effettuata un’analisi non invasiva direttamente sulle pitture, le quali sono state irradiate con onde elettromagnetiche di diversa frequenza dello spettro elettromagnetico (Raggi X, Infrarossi, UV, ecc.) al fine di individuare i tipi di pigmento, le diverse fasi di lavorazione e i materiali usati, le modifiche apportate da restauri antichi e la composizione originale dell’opera. Questo ha permesso anche di definire le migliori strategie di conservazione dell’opera per il futuro.
Nel corso della seconda fase sono stati prelevati campioni di malte dagli affreschi da punti selezionati durante la mappatura della prima fase. Attraverso analisi effettuate in laboratorio (dal microscopio ottico a diversi tipi di spettroscopia e analisi termica simultanea) sono state individuate delle tipologie di malte usate nella tomba. In seguito, i dati sono stati messi a confronto con quelli ricavati dalle medesime analisi effettuate sui colori e le malte di altre tombe pestane (contemporanee e successive) e sulle malte del Tempio di Nettuno e della Basilica.
La ricerca interdisciplinare ha permesso di notare dei markers tecnici e chimici specifici che separano la produzione artistica pestana in due momenti: il primo corrispondente alle prime due Fasi di Paestum (V e IV secolo circa), il secondo risalente a dopo il 300 a.C. (III fase di Paestum). Le indagini archeometriche hanno identificato la composizione dei pigmenti sintetici usati nella pittura, tra cui il blu egiziano, e di riconoscere la presenza di una patina nerastra creatasi per il deterioramento, distinguibile dal pigmento nero per una diversa composizione chimica. Il confronto con le altre tombe ha individuato che gli affreschi della Tomba del Tuffatore e quelli della coeva Tomba delle Palmette (500-475 a.C.) vennero eseguiti usando gli stessi colori, confermando una loro contemporaneità già stabilita in base ai confronti stilistici. Questi colori, però, risultano avere una composizione chimica non riscontrata in altre tombe lucane.
L’analisi delle malte, infine, ha rivelato l’utilizzo di una tipologia comune sia alla Tomba del Tuffatore che al Tempio di Nettuno e alla Basilica. Questa uniformità nella produzione individuata sia nelle tombe che negli edifici pubblici ha portato gli archeologi a ritenere che siano la prima attestazione di un’attività artistica locale e propria solo della zona di Paestum. Si tratta di dati indubbiamente molto interessanti, che dovranno essere in secondo momento confrontati con quelli provenienti da altri siti per poter individuare la zona di estrazione delle materie prime e capire se le tecniche possano essere delle importazioni culturali da altre aree geografiche.
Fonte: https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0232375