Ha aperto a Milano al Castello Sforzesco la mostra ‘Il Corpo e l’anima. Da Donatello a Michelangelo’ che fino al mese di giugno scorso era stata esibita al Louvre. Espone 120 pezzi tra dipinti e disegni, anche ‘pesanti’, sculture che hanno richiesto l’impiego di tecnologie avanzate per la loro sicurezza durante l’eccezionale trasferimento. Mezzo secolo fa, pensando all’Esposizione Mondiale di New York nel 1964 della Pietà di Michelangelo, l’impresa sarebbe stato l’evento dell’anno.
E’ indubitabile che una tale carrellata di nudi artistici che appassionarono le corti italiane dal 1450 al 1520, delle proporzioni di un Kolossal cinematografico, si deve poter fare, anche in periodi di emergenza, tecnologia permettendo, specialmente quando l’affluenza dei visitatori sarebbe pronosticabile nell’ordine di milioni di visitatori, ventisei nell’occasione per l’esattezza, come avvenuto a New York o almeno ventidue, come avvenuto con l’Expo 2015 di Milano, di carattere, pero’, opposto e schiettamente fieristico e merceologico: anche il costo del biglietto d’ingresso, contenuto, sfiora la tentazione di sfilare sulla sua passerella e, almeno in Photoshop su Instagram, di emulare il gioco di Léo Caillard e vestirle tutte da Hipster o da Chiara Ferragni.
Tra i Prigioni, campioni del non finito michelangiolesco, sono rimasti al Louvre gli Schiavi donati a Roberto Strozzi e ne sono in mostra gli esemplari che appartengono all’Accademia Fiorentina e alla Casa Buonarroti. Una gran parte dei pezzi da collezione museale, ora esposti in un filamento emozionale, soltanto negli ultimi decenni, con l’assiduità di studio e di approfondimento dei rispettivi musei, ha calcato le orme di star holliwoodiana: fra questi ammirevole anche il Combattimento a cavallo di Giovanfrancesco Rustici del Museo del Bargello a Firenze, uno dei quattro gruppi in terracotta eseguiti dall’artista dalla Battaglia di Anghiari di Leonardo. Non meno enigmatico l’altorilievo con il ritratto di due Amanti del Kunsthistorisches Museum di Vienna, interpretato come Bacco e Arianna, o Piramo e Tisbe, poiché simula la fronte di un ossario, e attribuito a Tullio Lombardo.
Il fatto e’ che un tale ordine di grandezza sarebbe normale per il turismo delle estati italiane senza emergenze ed e’ anche per questa massiccia densità di presenze nomadiche sul territorio che l’economia del paese ha affrontato il rischio di penuria e che negli ultimi anni invece ha visto congelare il mercato artistico non solo sulla piazza italiana, dato che, in compenso di un servizio essenziale, sporadica e trascurabile e’ stata l’attività di acquisti svolta sul territorio dai musei, specialmente quando il valore intrinseco delle opere d’arte le colloca tra quelle non piu’ liberamente esportabili. Nel dare notizia dell’evento coraggiosamente avveniristico e perciò meritevole del plauso tributato alla sua rilevanza dalla stampa d’informazione, e’ inevitabile dare risalto ad una critica pertinente alle esposizioni degli ultimi decenni e cioe’ la carenza, non solo nei trailer degli eventi, ma nei cataloghi, nelle guide e nelle descrizioni, non proprio alla portata di tutti, di pubblicità resa al posto che le opere d’arte esposte occupano o hanno occupato nel patrimonio del paese permanentemente, dove si trovano e da dove provengono, rassicurare il visitatore del fatto che, quanto ha speso, potrà consentirgli di vederle e di rivederle a sua discrezione dove stanno con la rispettiva documentazione, pietra miliare della ricerca; dal momento che una delle componenti ludiche della fruizione, come rivelato dagli itinerari all’aperto di recente piu’ spesso organizzati, e’ il rebus della scoperta: ritrovare l’opera d’arte, anche dove fosse superfluo ricordare che e’ di una grandissima opera d’arte, se per caso non fosse stata già vista virtualmente, che si tratta: come la Pietà Rondanini, la cui caccia al tesoro termina sempre nella sezione ad essa dedicata del Castello Sforzesco. Non solo quando siano ‘inamovibili’ dal proprio contesto, se ognuna, almeno in questo apprezzato insieme, lo sarebbe stata fondamentalmente, senza alcuna esasperata pretesa di localismo: per chi non volesse andare a Milano, potrà lasciarsi trascendere da un emozione concretamente spirituale entrando a S. Maria Sopra Minerva a Roma, dove, addossata a un pilastro, troverà nell’ombra, pervasa dal misticismo del candore cromatico michelangiolesco, la statua di Cristo Redentore e, di propria iniziativa, concluderne idealmente il percorso.
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