Mummie di animali. La microtomografia e l'imaging 3D restituiscono nuove informazioni su vita, sofferenza e morte degli animali e le loro relazioni con l’uomo nell’antico Egitto

Mummie di animali. La microtomografia e l'imaging 3D restituiscono nuove informazioni su vita, sofferenza e morte degli animali e le loro relazioni con l’uomo nell’antico Egitto


Nell'antico Egitto il rituale della mummificazione non riguardava solamente gli umani cui doveva garantire la rinascita nell'aldilà. Pratica comune era anche la mummificazione degli animali, non solamente quelli domestici come cani e gatti, ma anche di uccelli come ibis e falchi, pesci, mucche, serpenti e addirittura di coccodrilli. Se ne è proposta una classificazione: animali domestici sepolti con il loro proprietario, mummie di vettovagliamento sepolte con l'umano in modo da fornire cibo nell'aldilà, animali sacri adorati durante la loro vita, particolari animali associati a specifiche divinità con mummie che venivano poste nei templi come offerte votive. Una gran parte delle decine di milioni di mummie animali realizzate dagli egizi tra il VII sec. a.C. e il V d.C. è per l’appunto interpretata come offerta votiva, simbolo di affiliazione religiosa e strumento di comunicazione tra le persone viventi e gli dei. I gatti erano spesso legati alla dea della fertilità Bastet. Cospicui cimiteri di mummie feline sono stati trovati a Bubastis, Tebe, Saqqara e Beni Hasan. Alcuni uccelli erano collegati con divinità solari e del cielo Horus, Sokar e Re.  Le mummie erano acquistate dai frequentatori dei templi in una quantità enorme tanto che si è parlato di industria delle mummie animali dell'antico Egitto. Gli animali venivano allevati o catturati dai custodi e in seguito macellati quando erano piuttosto giovani e mummificati dai sacerdoti del tempio a scala industriale. "L'industria" della mummificazione animale richiedeva volumi di produzione elevati presupponendo l’esistenza di strutture e di programmi di allevamento specifici. Il gran numero di uccelli mummificati suggerisce che molti potrebbero essere stati raccolti selvatici piuttosto che essere stati allevati nei recinti dei templi. La domanda in alcuni periodi deve aver superato l’offerta tanto da spiegare i risultati cui giunse anni or sono una ricerca dell’Università di Manchester su più di 800 mummie animali rivelando che circa un terzo dei fasci di stoffa non conteneva affatto materiale animale. Una truffa a danno dei creduli fedeli? La questione è controversa. Giunge adesso una ricerca di un team di ricercatori del Regno Unito composto da ingegneri, archeologi, biologi ed egittologi che con metodologie e strumentazioni avanzate tenta di formulare ipotesi credibili su come potrebbe essere stata la vita di questi animali, la loro soppressione e il trattamento rituale di mummificazione. Una ricerca pilota in attesa che in futuro altri studi confermino o meno gli indicatori rinvenuti delle cattive condizioni in cui erano tenute le bestiole, gli stessi schemi di trauma e di trattamento di mummificazione messi in luce dalla ricerca.


Grazie alla microtomografia a raggi X computerizzata (micro-TC o μCT), ad alta precisione, le mummie di un gatto, di un uccello e di un serpente, vissuti circa 2000 anni fa e conservati all'Egypt Center dell'Università di Swansea (Regno Unito), sono stati studiati. I risultati sono stati pubblicati online il 20 agosto 2020 sulla rivista Scientific Reports - natureresearch con un articolo dal titolo "Evidence of diet, deification,Evidence of diet, deification,and death within ancient Egyptianmummified animals" (https://doi.org/10.1038/s41598-020-69726-0). Gli autori sono  Richard Johnston, Richard Thomas, Rhys Jones, Carolyn Graves ‑ Brown,Wendy Goodridge e Laura North, affiliati rispettivamente al College of Engineering dell’Università di Swansea, alla Scuola di archeologia e storia antica dell’Università di Leicester, alla Scuola di Scienze biologiche dell’Università di Cardiff, al Museo delle antichità egizie di Swansea (Regno Unito).
Attraverso la micro-CT sono state create immagini 3D, tomogrammi, unendo migliaia di proiezioni di raggi X 2d prese da diverse angolazioni. Con una risoluzione fino a 100 volte superiore rispetto a una tipica TAC medica, ovvero una risoluzione spaziale dell’ordine della frazione di micron fino ad alcune decine di micron.


La tecnica di indagine utilizzata a differenza di quanto si faceva in passato nel XIX secolo quando si iniziarono a studiare le mummie e poi per gran parte del XX secolo è non distruttiva, ovvero senza la rimozione dei bendaggi per mettere in luce le ossa e altri artefatti posto all'interno dell’involucro contenente la mummia. Sebbene la scansione di reperti resti antichi senza danneggiarli non sia una novità la microtomografia fornisce oggi informazioni spettacolari. Il vantaggio rispetto ad altri metodi e strumenti recenti, anch'essi peraltro non invasivi, è notevolissimo. I raggi X standard forniscono infatti solamente immagini bidimensionali, e le stesse scansioni TAC mediche, sebbene generino ugualmente immagini 3D, hanno, come si è detto, una risoluzione 100 volte inferiore. Purtroppo l’utilizzazione della microtomografia comporta oggi un costo economico elevato. Il team ha  potuto ricavare ed esaminare dettagli notevoli, creare modelli da studiare in realtà virtuale che ha anche stampato in 3D. Grazie alla la tomografia ROI è stato possibile in particolare generare immagini più dettagliate della morfologia del cranio del felino per aiutare l'identificazione delle specie e indagare sul danno osseo in quella regione.


Ad attirare maggiormente l'attenzione tra i tre animali il serpente, strettamente avvolto sotto le bende. Identificato come una giovane cobra egiziano (Naja haje). Del tutto rivelatori della relazione tra umani e serpenti nell'antico Egitto sono stati alcuni aspetti riscontrati nel corso dello studio. Le immagini hanno mostrato in particolare che l’animale soffriva di un tipo di gotta mentre era in vita e aveva i reni calcificati. Inoltre il serpente aveva patito perlomeno nell'ultima parte della sua vita la disidratazione. Il cobra presenta poi diverse fratture della spina dorsale rivelatrici del fatto che è stato forse ucciso attraverso una frustata, un metodo comune al tempo per uccidere i serpenti Secondo questa procedura gli animali venivano tenuti per la coda mentre le loro teste venivano sbattute a terra. La bocca aperta del cobra è indizio di un complesso comportamento rituale applicato a questo animale. Una posizione finale con la bocca aperta è infatti improbabile senza alcun intervento per aprire e mantenere la separazione delle mascelle superiore e inferiore La bocca era stata aperta evidentemente dall'imbalsamatore, come avveniva anche per gli umani, nella convinzione che questi e quindi anche gli animali potessero poi in questo modo respirare, parlare e mangiare nell'aldilà. Ed è stato possibile identificare all'interno della bocca resti solidi, forse di resina indurita oppure di natron, minerale usato dagli antichi egizi per rallentare la decomposizione.Ci sono diverse possibili spiegazioni per l'assenza delle zanne aguzze dell’animale.È possibile a riguardo, data la potenza fatale del veleno, che esse venissero usualmente rimosse per evitare l'avvelenamento post mortem degli imbalsamatori. 

Per quanto riguarda gli altri due animali analizzati, lo studio ha rivelato che il gatto era di tipo domestico (Felis catus) e aveva, come si evince dai premolari ancora presenti all'interno della mandibola e dai primi molari all'interno della cripta alveolare, meno di cinque mesi di vita. La giovane età del gatto è poi confermata dalla presenza di epifisi non fuse. Il felino è stato mummificato in due parti: la testa e il resto del corpo. La consistenza dell'avvolgimento tra la testa e il corpo suggerisce che questa separazione sia avvenuta dopo la mummificazione. Gli autori ritengono che il suo collo sia stato rotto apposta al momento della morte oppure una rottura durante il processo di mummificazione per mantenere la testa dritta. La testa è decorata con una maschera funeraria dipinta. Una frattura non cicatrizzata sotto la mascella individuata dall'analisi a raggi X indicherebbe come causa della morte un possibile strangolamento. L'uccello, invece, pare essere un comune gheppio eurasiatico (Falco tinnunculus): era lungo 23 centimetri e largo 7 centimetri. L'animale non sembrava essere morto per lesioni al collo. Aveva un becco e una gamba sinistra danneggiata. Identificati anche i resti delle piume.

In conclusione si tratta di una metodologia in grado di fornire risultati unici per l'alta risoluzione di imaging nel caso di campioni fragili e antichi di cui si vogliano rivelare le strutture morfometriche chiave e le caratteristiche interne. Nel caso specifico l’approccio degli autori ha fornito informazioni sulla vita e la morte di questi animali, sui processi di mummificazione e sugli atteggiamenti degli antichi egizi nei confronti degli animali e sulla loro religione.

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