Costruire la sostenibilità sociale dell'archeologia preventiva: Un cantiere aperto.

Costruire la sostenibilità sociale dell'archeologia preventiva: Un cantiere aperto.

Dire che l'archeologia preventiva in Italia considera solo la sostenibilità ambientale ed economica, ma non quella sociale, non sarebbe del tutto corretto. Tuttavia, la sua componente sociale è spesso poco visibile nelle procedure amministrative, rendendo difficile il coinvolgimento delle comunità locali e la trasformazione delle loro istanze in proposte concrete di partecipazione.

La tutela del patrimonio culturale, da cui la stessa archeologia preventiva discende, offre, in sé, occasioni di educazione e consapevolezza, avvicinando le comunità locali alla storia del proprio territorio, di crescita economica, integrando nell’offerta culturale dei territori nuovi percorsi culturali, di coesione sociale, rafforzando anche in senso intergenerazionale i legami comunitari e di identità condivisa, di sostenibilità culturale, contribuendo a disegnare una visione della gestione del territorio,che integra armonicamente la conservazione del patrimonio con lo sviluppo infrastrutturale. Purtuttavia, è vero che la componente sociale della sostenibilità di un’opera nelle procedure di archeologia preventiva è meno esplicitamente trattata rispetto alle altre. La tutela, fuori degli iter amministrativi, non sempre riesce a trovare una via per liberare e trasferire questo suo intrinseco potenziale sociale alle comunità. Anzi, è più che concreto il rischio che espressioni come “archeologia preventiva” risultino del tutto irrilevanti per chi, nei territori, sente profondo il legame col proprio patrimonio culturale e trova difficoltà nel capire perché mai il passato della propria comunità debba gestirsi a porte chiuse, senza che vi sia stata alcuna possibilità di dir niente in merito.

L'UNESCO, attraverso l'iniziativa Culture | 2030, ha identificato 22 indicatori, sia qualitativi che quantitativi, che servono a valutare il contributo della cultura in relazione agli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” (SDG) (Fig. 1 I 22 “Thematic Indicators for Culture in the 2030 Agenda” (da Unesco 2019). Questi indicatori sono organizzati in quattro categorie principali: Ambiente e Resilienza, Economia e Prosperità, Saperi e Competenze, Inclusione e Partecipazione. Per ciascun indicatore, il documento fornisce una scheda tecnica dettagliata che include lo scopo dell'indicatore, le fonti da cui è possibile raccogliere i dati e le indicazioni metodologiche per la sua costruzione. Tra i più rilevanti, in relazione alla sostenibilità sociale dell’archeologia preventiva, si segnalano:

  • Indicatore 4: Infrastrutture culturali. Misura la disponibilità e l'accessibilità di infrastrutture culturali come siti, musei, biblioteche, centri culturali, che possono ospitare nuovi contenuti ed esperienze culturali anche grazie all’archeologia preventiva. Esamina la distribuzione geografica di queste infrastrutture e il loro accesso da parte di diverse fasce della popolazione, con particolare attenzione ai gruppi vulnerabili o emarginati. La sua rilevanza per la sostenibilità sociale risiede nella capacità di garantire che tutte le comunità, indipendentemente dal loro background socio-economico, abbiano accesso alla cultura.
  • Indicatore 7: Impiego culturale. Questo indicatore analizza l'occupazione nel settore culturale, includendo sia i lavori diretti (ad esempio, archeologi, operatori museali, etc.) sia quelli indiretti (ad esempio, amministrazione culturale, servizi connessi). Misura l'inclusività del settore culturale come datore di lavoro e il suo contributo alla prosperità economica. Un settore culturale che offre opportunità lavorative contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze e alla promozione della giustizia sociale.
  • Indicatore 18: Cultura per la coesione sociale. Questo indicatore valuta il contributo della cultura alla coesione sociale, inclusa la capacità della cultura di promuovere l'inclusione sociale, ridurre le disuguaglianze e migliorare il dialogo interculturale. L'archeologia preventiva può contribuire a rilevare il livello di inclusione di diverse culture e lingue, promuovendo la comprensione interculturale.
  • Indicatore 21: Partecipazione culturale. Questo indicatore monitora il livello di partecipazione della popolazione alle attività culturali, sia come spettatori che come partecipanti attivi (ad esempio, partecipazione a corsi, workshop, festival). L'attenzione è posta sull'inclusione di tutti i gruppi sociali, considerando anche le barriere economiche e fisiche alla partecipazione. È fondamentale per valutare come la cultura contribuisca all'inclusione sociale e alla coesione.
  • Indicatore 22: Processi partecipativi. Misura l'inclusione dei cittadini nei processi decisionali culturali, garantendo che la gestione della cultura sia partecipativa e risponda ai bisogni delle diverse comunità.

Problemi della partecipazione pubblica ai procedimenti di archeologia preventiva

Aldilà degli aspetti di contenuto, vi sono tuttavia almeno due ordini di problemi fondamentali che, affrontando il tema della sostenibilità sociale nel contesto dell'archeologia preventiva italiana, sembra necessario tenere in considerazione:

  • il primo, di agibilità amministrativa, afferente alla sfera degli spazi che la legge concede a questi obiettivi di raccordo sociale,
  • ed un secondo, di iniziativa pubblica, legato a chi spetti, e a quale titolo di rappresentanza, assumere l’onere di trasformare istanze generali diverse provenienti dalla comunità in proposta concreta.

 

Agibilità amministrativa

Nelle procedure di archeologia preventiva, che talvolta si applicano anche a opere private di interesse pubblico (p.e. edifici ed impianti di interesse pubblico), la partecipazione del pubblico è generalmente passiva, confinata agli accordi tra il Committente, la Soprintendenza e la ditta archeologica incaricata, anche se, come noto, la formale responsabilità degli interventi archeologici rimane in capo alle Soprintendenze, che assumono la direzione scientifica ai sensi dell’art. 88 del D.lgs. 42/2004 (“Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”). Le Soprintendenze sono chiamate a verificare l’eventuale interesse archeologico di un’area interessata da opere: in caso affermativo, il permesso alla realizzazione dell’opera conterrà prescrizioni riguardo l’assistenza archeologica, mentre, qualora si rinvengano evidenze di particolare importanza, la tutela viene esaurita con la documentazione e la conservazione dei materiali, entrambi di appartenenza statale. Per eventuali testimonianze di elevato interesse archeologico possono essere negoziati cambiamenti progettuali che permettano la conservazione dei resti. I valori e gli interessi delle comunità locali dovrebbero dunque essere presi in considerazione in quest’ultimo momento, che concerne l’identificazione del patrimonio culturale.

Il D.lgs. n. 36/2023 (“Codice dei contratti pubblici”) ha confermato all’art. 40 la possibilità del “dibattito pubblico”, già introdotto nel codice del 2016 come misura per mitigare, già allo stadio di progetto di fattibilità, possibili conflitti derivanti dall’impatto delle grandi opere, le cui ricadute negative potrebbero ripercuotersi soprattutto a livello locale. L’allegato I.6, che nel nuovo Codice regola transitoriamente il “dibattito pubblico” nei casi in cui questo è obbligatorio (opere al di sopra di una certa soglia dimensionale), supera il D.P.C.M. n. 76 del 10 maggio 2018, allineando l’istituto ad altre norme sopravvenute, come quelle legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Alcune differenze procedurali e l'enfasi sulla celerità modificano in senso restrittivo l’efficacia di questo istituto, come quelle che riguardano i termini di partecipazione e di risposta più stretti, l’istituzione di un Responsabile del Dibattito con poteri di intervento che aumentano la centralizzazione del processo, l’introduzione obbligatoria di strumenti digitali, che possono limitare la capacità di partecipazione approfondita​. L’allegato, inoltre, esclude il dibattito pubblico: a) per le opere afferenti alla sicurezza e difesa nazionale; b) per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauri, adeguamenti tecnologici e completamenti; c) per le opere già sottoposte a procedure preliminari di consultazione pubblica sulla base di norme europee. Per tutte le altre fattispecie escluse dall’obbligo, l’indizione del dibattito pubblico è facoltà della stazione appaltante o dell’ente concedente, ove ne ravvisi l’opportunità in ragione della particolare rilevanza sociale dell’intervento e del suo impatto sull’ambiente e sul territorio, garantendone in ogni caso la celerità.

Iniziativa pubblica

A chi spetta, e a quale titolo di rappresentanza, assumere l’onere di trasformare istanze generali diverse provenienti dalla comunità in proposta concreta? Abbiamo visto come in sede amministrativa il dibattito pubblico possa rappresentare, in precise fattispecie e allo stadio di progetto di fattibilità, uno spazio garantito per manifestare tali istanze. L’allegato I.6, per le opere di cui alla Tabella 1, di importo compreso tra la soglia ivi indicata e due terzi della medesima, attribuisce alla stazione appaltante o all'ente concedente il compito di indire il dibattito pubblico, su richiesta a) della Presidenza del Consiglio dei ministri o dei Ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell'opera; b) di un Consiglio regionale o di una provincia o di una città metropolitana o di un comune capoluogo di provincia territorialmente interessati dall'intervento; c) di uno o più consigli comunali o di unioni di comuni territorialmente interessati dall'intervento, se complessivamente rappresentativi di almeno centomila abitanti; d) di almeno cinquantamila cittadini elettori nei territori in cui è previsto l'intervento; e) di almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non più di centomila abitanti e per il territorio di comuni di montagna. Come fa notare Francesca Benetti, «non è inverosimile pensare che l’amministrazione ABAP (o qualunque altro Ente locale coinvolto nel dibattito pubblico, n.d.r.) possa utilizzare questi incontri per comprendere più a fondo i valori attribuiti dalla comunità a un dato patrimonio archeologico, conoscibile attraverso le procedure di archeologia preventiva – anch’esse attivabili allo stadio del progetto di fattibilità».

Rischi

Nella prassi, le decisioni dell'amministrazione SABAP restano ancora caratterizzate da un'ampia discrezionalità tecnica, che non sempre - anche per ragioni legate a particolari sofferenze di organico - considera, o può considerare, adeguatamente i valori delle comunità locali, ostacolando anche la partecipazione passiva del pubblico. L’articolo 88, comma 1 del Codice dei Beni Culturali, d’altra parte, attribuendo la proprietà dei dati delle ricerche archeologiche al Ministero della Cultura, “titolare” (de facto, non de iure) di una “riserva di pubblicazione”, limita la consultazione dei dati da parte del pubblico e dei professionisti, alimentando potenziali occasioni di conflitto. In contesti già problematici, ciò rischia di escludere le comunità locali dalla conoscenza dei ritrovamenti archeologici, esacerbando le tensioni. Ben consapevoli della differenza che intercorre tra possibili implicazioni sociali derivanti dalla realizzazione di una rotonda in pieno centro urbano e quelle prodotte dalla costruzione di un tracciato ferroviario, va comunque registrato che la partecipazione pubblica nelle procedure di archeologia preventiva può comunque portare con sé dei rischi che poco hanno a che fare con la sostenibilità sociale del procedimento: la tutela del patrimonio culturale, infatti, potrebbe ben prestarsi ad operazione di cultural washing e maquillage culturale, per coprire volontà diverse, che vanno da quelle tese a mascherare impatti negativi che riguardano altri interessi pubblici (p.e. ambientali), a quelle volte ad ostacolare la realizzazione di un’opera (per ragioni diverse, politiche, economiche, etc.).

Incentivare la valorizzazione sociale dell’archeologia preventiva

Nella convinzione che la valorizzazione sociale dell’archeologia preventiva contenga ampi spazi di mercato per gli archeologi professionisti, non ancora del tutto esplorati, si pone a nostro avviso un’ulteriore necessità, che è quella di dotare la domanda di sostenibilità sociale legata alle procedure di archeologia preventiva, ben presente nei territori, di meccanismi di incentivazione che vadano a vantaggio di possibili committenti interessati a sostenerla.

Se nell’ambito della progettazione di grandi opere pubbliche, anche in ragione della scala degli investimenti pubblici mobilitati, lo stimolo a curare gli aspetti di sostenibilità sociale di un’opera potrebbe non essere strettamente legato a fattori economici, ma piuttosto riguardare la possibilità di poter contare su “archeologi progettisti” (vale a dire professionisti formati per intercettare quegli obiettivi), in molti altri casi (per esempio nel caso di opere private di interesse pubblico) potrebbe essere più facile per stazioni appaltanti o generici investitori tener conto della sostenibilità sociale sapendo di poter contare anche su altre forme di incentivazione, come per esempio misure di fiscalità agevolata, in grado di generare riconoscibili benefici reputazionali. Ed in effetti, giova ricordare come anche una misura di successo come l’Art Bonus, che ha favorito il coinvolgimento attivo di migliaia di cittadini-mecenati a sostegno di luoghi della cultura di appartenenza pubblica, agisca pienamente nel solco della sostenibilità sociale. E vale ancora la pena ricordare come, sulla base di quel modello, la Regione Toscana sia stata in grado di attivare una sorta di “art bonus” regionale, esteso ad iniziative e progetti culturali riguardanti anche beni di natura ecclesiastica, ugualmente fondato su meccanismi di compensazione dei versamenti fiscali, da applicarsi alle imposte regionali sulle attività produttive.

Considerazioni Finali

In sintesi, l'archeologia preventiva in Italia incorpora aspetti della sostenibilità sociale, anche se queste dimensioni possono non essere sempre evidenti o formalmente integrate quanto quelle ambientali ed economiche. Tuttavia, non si può dire che la sostenibilità sociale sia completamente trascurata. In alcuni contesti, potrebbe esserci spazio per un maggiore riconoscimento e integrazione degli aspetti sociali nella pratica dell'archeologia preventiva, specialmente in termini di partecipazione pubblica e valorizzazione del patrimonio culturale come risorsa per il benessere sociale.

Autore

Fabio Pinna, Mattia Sanna Montanelli

Università degli Studi di Cagliari

Pinna, F., & Sanna Montanelli, M. (2024). Costruire la sostenibilità sociale dell’archeologia preventiva. Un cantiere aperto. GEOmedia, 28(4). Recuperato da www.mediageo.it/ojs/index.php/GEOmedia/article/view/2030

Pre-abstract del Primo Convegno Nazionale in "Archeologia Preventiva: Teorie, metodi ed esperienze", Soriano nel Cimino 18-19 Ottobre 2024.

Leggi GEOmedia 28 (4) 2024 a questo link

 

Guarda il video del convegno

Guarda tutti quanti gli interventi del convegno (Link alla Playlist)

L’iniziativa, nata all’interno del Master di II livello in “Archeologia Preventiva e Gestione del Rischio Archeologico”, è promossa dall’Università degli Studi della Tuscia, il Ministero della Cultura (DG Musei, DG ABAP), ICA (Istituto Centrale per l’Archeologia), Italferr (Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) e Archeoimprese (associazione delle imprese archeologiche), SABAP Viterbo e Etruria Meridionale, in collaborazione con il Comune di Soriano nel Cimino, il Museo Civico Archeologico dell’Agro Cimino e l’Ente Sagra delle Castagne.

Scopri il Master di II livello in “Archeologia Preventiva e Gestione del Rischio Archeologico”

Contatti
Direttore: Prof. Salvatore De Vincenzo
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Coordinatore: Dott. Giancarlo Pastura
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Segreteria Master Archeologia Preventiva – Map
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